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Giovedì, 28 Marzo 2024
Salute

Smart working sì, ma la casa è il luogo più odiato per lavorare: i 5 problemi più sofferti

Solitudine, perdita del work-life balance e condivisione degli spazi: sono questi gli aspetti meno apprezzati del lavoro agile da casa, secondo un’indagine effettuata da Nibol. La soluzione? Il bar quando si può o la seconda casa

Lo smartworking è diventato ormai parte integrante della vita di gran parte dei lavoratori palermitani. Basti pensare che, secondo una recente ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano "nella fase più acuta dell’emergenza sanitaria, oltre sei milioni e mezzo di lavoratori dipendenti italiani, circa un terzo del totale e dieci volte di più rispetto ai 570mila del 2019 hanno sperimentato questa modalità". 

E se lo smartworking è entrato nella quotidianità dei lavoratori italiani ed è destinato a rimanerci (si stima che anche al termine dell’emergenza, i lavoratori agili che lavoreranno in parte da remoto saranno complessivamente oltre 5,3 milioni), non necessariamente la casa è il luogo preferito dove lavorare. Anzi. A rivelarlo un’indagine condotta da Nibol, la startup dell’ufficio diffuso, su un panel di 20.000 utenti della piattaforma. 

I cinque problemi più sofferti dagli smartworker 

L’indagine effettuata da Nibol ha messo in evidenza quali sono gli aspetti negativi che rendono l’ambiente domestico il luogo ‘più odiato per lavorare’. In cima alla lista, il 30% dei partecipanti ha messo la solitudine in cui si è costretti a lavorare stando a casa, senza alcuna possibilità di una chiacchiera o un incontro in presenza con colleghi e clienti. Segue, con il 28% delle preferenze la condivisione forzata degli spazi di casa: figli che seguono la didattica a distanza, compagne/i in smartworking, animali domestici. La convivenza in una stessa stanza e la condivisione di computer e connessione internet sono motivo di stress per chi lavora da casa.

Per il 20% degli intervistati, lavorare da casa significa perdere completamente il work-life balance: lavorare nello stesso luogo in cui si cucina, ci si rilassa sul divano consente una continua invasione dell’ambito professionale in quello privato e viceversa. Con il rischio di passare l’intera giornata in pigiama o di fare call mentre si mangia. C’è poi la questione legata ai costi: per il 12% degli intervistati lavorare da casa è causa di costi extra che non si avrebbero se si lavorasse in ufficio, al bar o in uno spazio di coworking: bollette, ma anche la spesa per preparare il pranzo.

Infine, per il 10% del panel pesa la sedentarietà, l’impossibilità di muoversi, di ‘sgranchirsi’ le gambe, anche solo spostandosi dalla propria scrivania a quella del collega. Non solo. Stando sempre in casa, la tentazione di aprire la dispensa e trovare qualcosa da sgranocchiare tra una videocall e un’altra, è dietro l’angolo. Insomma, il lavoro è sì smart, ma non necessariamente da casa. Tanto che molti utenti della piattaforma hanno anche indicato luoghi alternativi al proprio "primo domicilio" tra i preferiti per il lavoro da remoto.

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