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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Sala giochi di via Notarbartolo, locali in affitto: cala il sipario sull'era della 'stecca' e del ping pong

Il seminterrato che per oltre 40 anni ha ospitato tavoli da biliardo e videogame cambierà volto: in corso trattative con un importante brand nazionale. Il ricordo: "Quante ore passate lì dopo aver marinato la scuola"

Chi marinava la scuola sapeva che lì avrebbe trovato rifugio, certamente dalle 8 del mattino fino ad ora di pranzo. Poi unica tirata fino al pomeriggio e infine alla sera. Ora che cala il sipario, definitivamente, sulla storica sala giochi di via Notarbartolo si conclude un’era. E non solo perché quel cartello d’affitto, che arriva dopo tre anni dalla chiusura ufficiale, apre nuovi scenari e nuove finestre sul commercio cittadino (sono in atto alcune trattative con un importante brand nazionale) ma anche perché quella saracinesca abbassata rappresenta la fine di un’epoca per una generazione che oggi ricorda quel posto con nostalgia.

Tavoli da biliardo e da ping pong, calcio balilla, videogame, un ritrovo - soprattutto negli anni Duemila - per tutti quei ragazzini dei vari licei palermitani che preferivano il gioco ai libri. “Quante volte ho marinato la scuola per andare lì - ricorda chi frequentava assiduamente la sala giochi -. C’erano sempre lo ‘zio Mimmo’ e lo ‘zio Totò’, noi giovani dell’epoca li chiamavamo così, insieme a ‘Pedalino’ e Anthony. Avevamo un rapporto familiare, c’erano anche molti cazziatoni verso quelli indisciplinati. Li chiamavamo zii perché passavamo più tempo con loro che con le nostre famiglie. Stavamo lì dalla mattina alla sera”.

Biliardo, ping pong e videogiochi: la sala giochi di via Notarbartolo

Alla fine degli anni ‘80 a Palermo la chiamavano l’Uni. Più di recente però tutti la conoscevano come Trinacria, anche se l’insegna “ping pong” portava i puristi a chiamarla “Il ping pong di via Notarbartolo”. Aperta da oltre 40 anni, nell'ultimo periodo aveva perso quell’appeal che l’aveva consacrata a luogo di ritrovo, cedendo il passo a un progressivo abbandono. “Ha chiuso perché c'è stata un'evoluzione del mercato. Le sale giochi hanno perso sempre più la loro attrattiva. I ragazzi andavano sempre meno nelle sale. E la chiusura, sebbene sofferta, è stata una conseguenza logica. Non c’era più l’interesse di prima. È stata una scelta aziendale. Perché la società cambia, le abitudini dei ragazzi anche”, dice chi è vicino alla proprietà.

Adesso quei mille metri quadrati al piano seminterrato, con ampio ingresso pedonale dalla strada e uscita carrabile nella parte retrostante, aspettano un nuovo inquilino. Prezzo d’affitto: 6.500 euro al mese. C’è chi scommette in una palestra, chi in un centro d’analisi. Di certo c'è già chi da lontano ha buttato l’occhio sull’immobile. Manca solo l’ufficialità. Di sicuro però non sarà un’altra sala giochi. “Perché ambienti dal sapore antico come le sale biliardo quasi non esistono più - racconta qualche nostalgico -. Hanno cominciato a perdere quell'atmosfera quando hanno permesso che al loro interno venissero installati videogiochi dai rumori assordanti. Nessuno ha saputo vedere in quei tavoli verdi e quei ping pong del sano sport che in tutti i Paesi d’Europa viene praticato da milioni di sportivi. Peccato, a prescindere dalla nostalgia”.

Ed è proprio la nostalgia, il tempo che passa e non torna più, la vera canaglia di questi tempi, secondo chi ha passato ore e ore nel sotterraneo di via Notarbartolo. “Ogni giorno ci trovavamo a vivere dinamiche sempre uguali. Era un luogo di aggregazione, di mattina, di pomeriggio, ma anche il sabato dopo la fine della scuola. Spesso c’erano dei litigi fuori dalla sala giochi. A quel punto qualche ‘zio’ usciva per andare a prendere per l’orecchio uno dei suoi ragazzi, proprio come farebbe uno zio per protezione. Eravamo dei ragazzini affezionati a loro. Credo che anche loro fossero affezionati a noi”.

Aneddoti su aneddoti che oggi hanno un gusto dolceamaro. “Capitava che quelli più forti, bravi a giocare a biliardo, venissero sfidati da quelli delle sale esterne. Loro si avvicinavano, facevano il tifo per noi. ‘Lo puoi battere, ce la puoi fare’. Conoscevano il nostro modo di giocare. Quando vedevano ragazzini ‘ammalarsi’ con le macchinette venivano e ti dicevano: ‘Adesso basta, fermati’”. E così fu.

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