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Il boom di Roberto Lipari: "Sogno di vincere l'Oscar, darei un Tapiro a chi mi disse di cambiare mestiere"

Una carriera iniziata quasi per gioco, diventata negli ultimi anni il suo "piano a". Il comico, per la prima volta al timone del tg satirico di Antonio Ricci, si racconta a Today: "Voglio il Palermo in Serie A con il Catania"

Quando a Roberto Lipari, da bambino, chiedevano cosa volesse fare da grande, rispondeva: "Quello sul palco". Uno di quelli sul palco, il primo visto a teatro, insieme ai genitori, era Sergio Friscia, lo stesso che 25 anni dopo scritturò per il suo film, 'Tuttapposto', e con cui adesso condivide il bancone di Striscia la Notizia, un altro dei suoi grandi sogni. Il comico palermitano - perché il comico, poi, è riuscito a farlo davvero - ha saputo trasformare la sua passione in lavoro. Talento, tanta determinazione e due punti di riferimento come Ficarra e Picone, che hanno creduto in lui, al contrario di altri a cui oggi consegnerebbe un Tapiro.

Il tuo a Striscia è un debutto assoluto. Era nei programmi?
"In realtà sì. Tutte le cose successe nella mia carriera c'è stato un momento in cui le ho sognate. E' vero che parliamo di una piccolissima carriera, quindi non è la regola, però per adesso va così. Sono cresciuto a pane e Ficarra e Picone, andare dietro quel bancone era un'ambizione che c'è sempre stata. Però se due anni fa mi dicevi che oggi sarei stato qui, ti rispondevo che era impossibile. Uno può sognarlo, immaginarlo, ma poi non sa se e quando avviene. E' stata una bellissima sorpresa". 

Sei in coppia con un altro palermitano come te. E' per questo che c'è tanto feeling?
"Questo sicuramente, perché partiamo dallo stesso bagaglio culturale. Siamo cresciuti in un ambiente simile, anche se tra noi ci sono 19 anni di differenza. Sono due Sicilie diverse diciamo, ma è proprio quello che funziona. Sergio racconta una parte della Sicilia, io ne racconto un'altra, sono mille le sfaccettature. Sergio poi è una persona fantastica, io dico sempre che quello là sotto non è tessuto adiposo, ma tutto apparato cardiaco. Ha un cuore enorme e questo suo essere buono mi aiuta. Lavorare con persone di cuore è una grande fortuna". 

Che intendi quando parli di due Sicilie diverse? 
"Partiamo dal presupposto che non ce n'è una migliore o peggiore. Sergio racconta la Sicilia coloratissima, perché è cresciuto quando la speranza regnava sovrana. Io sono nato nel '90 e appartengo a un'altra generazione. Quando fecero saltare in aria Falcone e la sua scorta, a Capaci, io ero a pochi chilometri da lì. Avevo due anni, ero in macchina con mia madre, andavamo a Castellammare. Ho vissuto una Sicilia fatta di 'chissà se a domani ci arriviamo', 'il futuro per i giovani non c'è', perciò abbiamo generato due modi diversi di fare comicità. La sua è gioia pura, come quella che c'è negli occhi di un bambino, io invece appartengo a una comicità di reazione, quella da usare per superare un momento difficile, quando sai di essere in difficoltà e ci ridi su. Perciò qualsiasi notizia, anche la più brutta, può diventare comicamente raccontabile".

Sergio ci ha raccontato che è stato la tua prima volta a teatro...
"Sì. Ero a Castellammare del Golfo, il paese di mia mamma, si esibiva all'Arena delle Rose. Era il '94, avevo quattro anni. Ogni volta che lo dico lui dice che lo faccio passare per vecchio. Probabilmente, in qualche modo, ha influito sulla mia scelta: tutte le volte che da bambino vedevo qualcuno sul palco dicevo che sarei voluto essere quello lì. E' anche colpa di Sergio, diciamo così". 

E 25 anni dopo lo hai scritturato per la tua commedia, Tuttapposto. Sembra anche questa la trama di un film, il tuo...
"Non avevo chissà quanto budget a disposizione per il film, la telefonata è stata: 'Sergio, ci dai una mano?'. Lui ha detto subito di sì. Non ci eravamo mai visti. In un attimo siamo diventati amici, sul set tutti ci chiedevano se avevamo già lavorato insieme ed è la stessa domanda che ci fanno oggi a Striscia. Sergio dice che è un colpo di fulmine. E' vero, ha tutte le caratteristiche di un colpo di fulmine e noi stiamo vivendo la fase dell'innamoramento". 

In quel film parli del baronato universitario. E' qualcosa che hai vissuto sulla tua pelle?
"Sì, certo. Io ho girato molte facoltà. Ho fatto il test di medicina, insieme a tanti altri test d'ingresso. Il meccanismo dell'università italiana fa sì che tu spendi tanti soldi per tanti test finché non sai dove entri. Anche nelle facoltà a numero aperto, infatti qui mi viene il dubbio. Probabilmente perché a qualcuno serve che paghi il bollettino, il famoso mav. Comunque, mentre aspettavo lo scorrimento di medicina ho frequentato tre facoltà, tutte a Palermo. Pensa quanto è durato, ho avuto il tempo di cambiare tre facoltà. Ho fatto una full immersion di università. Mi ricordo a ingegneria la docente di disegno che aveva lo stesso cognome di disegno 1, disegno 2, disegno 3, e poi c'era un corso speciale di disegno, tenuto da un docente con un cognome diverso perché era il genero. Nel film ho portato tutto questo, insieme ad altre esperienze e racconti. Uno degli sceneggiatori, ad esempio, è stato assistente di un professore. Quel film è di pancia. Quando ce l'ho con qualcuno, invece di prendermela con lui, comicamente, lo racconto. Ecco, Tuttapposto nasce da un mal di pancia sul baronato universitario". 

E il baronato televisivo esiste?
"Assolutamente, non c'è alcun dubbio. Io non ne ho mai usufruito, però c'è. Ho lavorato in tutte le reti, da La7 alla Rai, Italia 1, ora Canale 5. Tuttapposto è ambientato all'università ma fondamentalmente parla del potere in generale. Il meccanismo del baronato è applicabile alla politica, al posto fisso, così come alla televisione. Anche a me è capitato a volte di essere lì lì per fare un programma e poi, siccome il presentatore era di un'agenzia allora anche il comico doveva essere di quell'agenzia. Non sempre è l'arte a venire premiata, ma a volte l'agenzia in cui ti trovi". 

Eccezionale Veramente è stato il tuo trampolino di lancio. Oggi il talent è l'unico modo per un giovane di farsi spazio nel mondo dello spettacolo?
"Credo che il modo più economicamente alla portata di tutti oggi è il web. Io ho fatto il talent ma probabilmente se non avessi avuto in parallelo una mia vita sul web, sarebbe finita lì. I vincitori della seconda edizione, ad esempio, sono bravissimi comici ma nessuno se li ricorda, perché non avevano quell'appoggio. Io credo che per resistere devi giocare sette, otto partite. Mentre una volta bastava apparire. Pino Caruso raccontava che dopo il primo monologo, fatto su Raiuno, l'indomani era Pino Caruso. Oggi questa cosa non esiste più. Oggi devi essere presente su sette, otto piattaforme e allora esisti. Questo uccide un po' la qualità, perché se giochi troppe partite non puoi giocarle tutte bene, un po' come nel calcio, ma è anche l'unico modo che abbiamo. La via può essere il talent ma secondo me il web ti dà più opportunità. Il web democraticamente, più o meno, funziona". 

Comico, sceneggiatore, adesso anche conduttore. Avevi un piano b?
"Io non ho mai chiesto il nulla osta a medicina. Ho smesso al terzo anno e dico sempre che ho salvato molte più vite non facendola. La mia vita è sempre stata un piano b. Quando facevo cabaret nelle pizzerie, mentre studiavo, era il mio piano b. Poi per fortuna è diventato il mio piano a".

Altrimenti avresti fatto davvero il medico?
"Sì, ma non so se lo avrei fatto con lo stesso spirito. Quando facevo tirocinio, nei reparti più tranquilli, passavo il tempo a fare battute con pazienti e parenti. Già lì capivo che c'era qualcosa che non andava. Oggi penso che non potrei fare nient'altro se non questo. O scrivo di comicità, o faccio comicità sul palco, o come Striscia passo la palla per la comicità, ma la mia vita senza comicità non riesco a immaginarla. E' stato il mio sogno da bambino e ho avuto la grande fortuna di farlo diventare il mio lavoro".

Un sogno ancora nel cassetto, invece, ce l'hai?
"Da quando ho fatto il film preparo spesso il discorso per l'Oscar. Pupi Avati, quando mi premiò a Eccezionale Veramente, mi raccontò che lui scriveva sempre un discorso per l'Oscar. Allora ho iniziato anch'io. Lo aggiorno sempre. Chissà, magari un giorno Sophia Loren dirà di nuovo 'Roberto'. Io il discorso ce l'ho".

E chi ringrazi nel discorso?
"Allora, la definizione del tempo 'con o senza di te' se la sono già presa. Vediamo. A parte gli scherzi, ringrazierei chi mi sta accanto, ma davvero. Stare accanto quando le cose vanno bene è facile, stare accanto quando le cose vanno male o non si sa come vanno è diverso. Quelle sono le persone che valgono tutto. Il resto è scenografia di carta. I pilastri sono altri: la mia famiglia, la mia fidanzata, i miei amici. E poi ringrazierei chi mi ha dato l'occasione di arrivare fin qui. Ficarra e Picone hanno creduto in me e non è una cosa da tutti: hanno prodotto il mio film, mi sostengono sempre. Gli telefono di continuo, dopo ogni puntata, per chiedergli come sono andato. Sono i miei punti di riferimento. E poi ho iniziato per loro, vidi a Zelig un loro pezzo sulla pasta con le sarde e dissi ai miei genitori che volevo fare quella cosa lì. Tutti quelli che vedevo sul palco, come ho detto prima, ma loro mi hanno folgorato".

Nella tua vita a chi lo daresti un Tapiro?
"Lo darei a quelli che mi hanno detto di cambiare mestiere, che non era la mia strada. Ma che me l'hanno detto senza suggerirmi come fare, me l'hanno detto punto e basta, per il gusto di stroncare la gambe. Purtroppo sono più di uno quelli che mi hanno detto che non ci avrei dovuto credere". 

A te invece per cosa dovrebbero darlo?
"Perché il Palermo è in Serie C. E' vero che siamo secondi, ma io lo voglio in Serie A, con il Catania. Attapirato per il Palermo, senza alcun dubbio".

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