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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Il bambino innocente che amava i cavalli: 23 anni fa la tragica fine di Giuseppe Di Matteo

L'11 gennaio 1996 il figlio del pentito Santino fu torturato, strangolato e sciolto nell’acido. Orlando: "L'orrore di quel gesto non può essere dimenticato, la sua fine terribile è sprone a proseguire nella battaglia contro la mafia"

Un bambino innocente che amava i cavalli. Ventitré anni fa Giuseppe Di Matteo veniva ucciso dalla mafia. E oggi è il giorno del ricordo. In occasione dell'anniversario della morte parla il sindaco Leoluca Orlando. "A 23 anni dalla barbara uccisione di Giuseppe Di Matteo - dice il primo cittadino - l'orrore di quel gesto non può essere dimenticato".

Torturato, strangolato ed infine sciolto nell’acido. Ecco il tragico destino che toccò al piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio dodicenne del pentito Santino Di Matteo, rapito il pomeriggio del 23 novembre 1993, quando aveva quasi 13 anni, in un maneggio di Piana degli albanesi e poi ucciso nel gennaio del '96.

A ordinare la sua uccisione fu Giovanni Brusca. Gli esecutori materiali del delitto furono Vincenzo Chiodo, Enzo Salvatore Brusca e Giuseppe Monticciolo. Per il sequestro e l'omicidio di Giuseppe, oltre che Giovanni Brusca, sono stati condannati all'ergastolo circa 100 mafiosi tra cui Leoluca Bagarella, Salvatore Benigno, Salvatore Bommarito, Luigi Giacalone, Francesco Giuliano, Giuseppe Graviano, Salvatore Grigoli, Matteo Messina Denaro, Michele Mercadante, Biagio Montalbano, Giuseppe Agrigento, Domenico Raccuglia e Gaspare Spatuzza.

"A 23 anni dalla morte di quel bambino - continua Orlando - la sua fine terribile è sprone a proseguire nella battaglia contro la mafia, contro ogni forma di violenza, contro ogni negazione della dignità degli esseri umani e dell'inviolabile diritto alla vita".

Il piccolo Giuseppe, nato a Palermo il 19 gennaio 1981, fu rapito da un gruppo di mafiosi che agivano su ordine di Giovanni Brusca, allora latitante e boss di San Giuseppe Jato. Secondo le deposizioni di Gaspare Spatuzza, che prese parte al rapimento, i sequestratori si travestirono da poliziotti della Dia ingannando facilmente il ragazzo, che credeva di poter rivedere il padre in quel periodo sotto protezione lontano dalla Sicilia. La famiglia cercò notizie del figlio in tutti gli ospedali palermitani ma quando, il 1º dicembre 1993, un messaggio su un biglietto giunse alla famiglia con scritto "Tappaci la bocca" e due foto del ragazzo che teneva in mano un quotidiano del 29 novembre 1993, fu chiaro che il rapimento era finalizzato a spingere Santino Di Matteo a ritrattare le sue rivelazioni sulla strage di Capaci e sull'uccisione dell'esattore Ignazio Salvo.

Santino Di Matteo non si piegò al ricatto e decise di proseguire la collaborazione con la giustizia. Giuseppe fu trasportato da un posto all’altro per mezza Sicilia, fu spostato in varie prigioni del trapanese e dell'agrigentino, e nell’ultimo nascondiglio rimase per 180 interminabili giorni, prima di essere ucciso. Fu solo quando Brusca venne condannato all'ergastolo per l'omicidio di Ignazio Salvo, che decise di vendicarsi sul ragazzo. Brusca ordinò così l'uccisione del ragazzo, ormai fortemente dimagrito e indebolito per la prolungata e dura prigionia, nel covo lager di San Giuseppe Jato.

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