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Da Palermo a Samarcanda con un'Ibiza del 1989: "I nostri folli 11 mila chilometri"

Montagne, percorsi sterrati, strade inesistenti, deserti, steppe: nel cuore dell'Asia senza incontrare anima viva per giornate intere. Un'avventura chiamata Mongol Rally, gara non competitiva a scopo di beneficenza, che quest'anno ha visto la partecipazione di un gruppo di giovani palermitani

Qualcuno l'ha definita la gara più pazza (e buona) del mondo. Tre settimane piene di disavventure, un progetto nato per caso. Un'esperienza indimenticabile. Un'avventura chiamata Mongol Rally, da Palermo al cuore dell'Asia. Ovvero: undicimila chilometri percorsi. I protagonisti? Due palermitani: Giulio Ferraro e Marco Miceli, che adesso non riesce a nascondere la sua emozione quando torna indietro di pochi giorni e ricorda l'impresa: "Non potremo mai dimenticare gli occhi di quei bambini che vivono nel nulla e con poco o niente, i loro sorrisi, la loro generosità". 

Un tour che si è snodato per poco più di tre settimane a bordo di una scassatissima Seat Ibiza dell'89, percorrendo altipiani, percorsi sterrati, strade inesistenti, deserti, steppe, in mezza Asia. Senza incontrare anima viva per giornate intere. Un'avventura chiamata Mongol Rally, gara non competitiva a scopo di beneficenza, che quest'anno ha visto la partecipazione di un gruppo di giovani palermitani. Oltre a Marco Miceli e Giulio Ferraro protagonista anche l'amico d'infanzia Tommaso Mazzara che coordinava da remoto il team 'Unni City', gioco di parole tra l'inglese e il palermitano che tradotto vuol dire 'Dove siete'.

A ogni team viene chiesto di raccogliere un minimo di 500 dollari per l'organizzazione Cool Earth, ONG internazionale con sede nel Regno Unito che protegge la foresta pluviale in via di estinzione al fine di combattere il riscaldamento globale, proteggere gli ecosistemi e fornire lavoro alle popolazioni locali. Qualsiasi altra cifra raccolta potrà essere devoluta ad altre onlus registrate. Tre settimane difficili, con disavventure che hanno rischiato di bloccare il team palermitano, e alla fine un problema all'auto non risolvibile, ha costretto Marco e Giulio a mollare prima del previsto e lasciare la macchina per ripartire per l'Italia.

Un progetto nato per caso, un anno fa, quando Marco, che fa il manager in un'azienda che si occupa di innovazione tecnologica, Giulio, che fa l'operaio Michelin, e Tommy, che si occupa di comunicazione per Moltivolti, decidono di tentare questa folle avventura. "Abbiamo cominciato a definire il progetto l'estate scorsa - racconta Marco Miceli -. L'idea iniziale era quella di fare una vacanza alternativa, che però abbia un significato importante. E' stato un anno molto intenso, per la preparazione del viaggio, prepararsi per questa avventura non è stato facile".

Partiamo dall'auto. Una Seta Ibiza. Il regolamento del rally prevede che l'auto non debba superare la cilindrata mille e deve avere almeno 10 anni. "E poi c'era tutta la parte burocratica da definire - racconta Tommy Mazzara -. E' stato un viaggio low cost, abbiamo usato materiale di recupero e ci siamo fatti aiutare da alcuni volontari". "L'idea del rally è di arrivare ovviamente fino in fondo - racconta Marco Miceli - l'unica regola, per potere essere considerato valido, è arrivare entro 30 giorni all'arrivo del primo team". Ma quali Stati e regioni hanno percorsi i componenti di Unni City? Romania, Bulgaria, Turchia, Anatolia, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, fino a Samarcanda. "In Uzbekistan le strade sono disastrate - dicono - e già lì abbiamo avuto problemi con la macchina, abbiamo avuto un problema con l'ammortizzatore". Un guasto riparato artigianalmente "e questo ci ha consentito di potere andare avanti, e affrontare la sfida del Pamir, cioè 720 km di strade di montagna". Qui riceviamo un sms allarmante: 'benvenuti in Afganistan", ricorda Marco.

"La sfida più dura di tutte è stata percorrere quelle strade di montagne - raccontano i due giovani - e la macchina si è distrutta. Quando abbiamo iniziato a scendere il Pamir avevamo deciso che non potevamo andare avanti. Il volante si stava staccando e le vibrazioni erano ormai ingestibili. Da qui siamo arrivati a Osh, in Kirghistan, dove abbiamo lasciato l'auto a una persona che si sta occupando dello smaltimento della carcassa". Non sono mancati gli intoppi, come in ogni avventura che si rispetti. "Il nostro visto per l'Iran era regolare ma abbiamo scoperto che mancava il 'carnet de passage'. E tornare indietro era molto pericoloso, al confine con la Siria", raccontano. "Siamo stati fermati dai soldati prima di entrare in Iran, in Turchia, al confine con l'Iran - aggiungono -. Siamo stati fermati dalla dogana iraniana e tornare indietro la notte da quella dogana era troppo pericoloso. Gli stessi militari ci hanno sconsigliato di andare, e abbiamo dormito in dogana". Il loro 'lasciapassare' era un ragazzo curdo, che ha fatto con loro quasi 2.000 km. Si chiamava Payman.

Ecco l'itinerario seguito dal team di Unni City: Cuneo-Milano-Praga-Budapest-Romania, "dove abbiamo percorso Transfagaran, la strada più bella del mondo, una strada di montagna che la notte è chiusa", e ancora la Transilvania, Bulgaria, Istanbul. Qui, entra in scena 'Per esempio onlus' di Palermo. E' stato organizzato con Small project Istanbul che si occupa dei siriani scappati dalla guerra. "Abbiamo chiesto ai bambini, i piccoli rifugiati, di disegnare su un foglio dove desiderano vivere - racconta Marco Miceli - un bambino ha disegnato ad esempio la Tour Eiffel, a Parigi, senza esserci mai stato".

"E' stata una esperienza fortissima - dicono - da lì siamo andati nella parte più selvaggia della Turchia, in Cappadocia, con le mongolfiere" e da "lì è iniziata la vera avventura con il Mongol Rally". Il team non è riuscito a entrare a Teheran "Non eravamo autorizzati a entrare da nessuna parte", dicono. La temperatura sfiorava i 52 gradi, "con la macchina senza aria condizionata e la notte passata in macchina", oltre a due notti passate all'addiaccio in Iran, Zanjan, prima di Teheran. In Turkmenistan "c'è stata gente che si è tolta il pane di bocca per darci da mangiare, ci hanno regalato del pane", dice Marco Miceli. "Laddove avevamo bisogno di aiuto abbiamo sempre trovato qualcuno" e raccontano: "in Iran, un tassista ci ha fatto dormire a casa sua".

"L'unico paese meno ospitale è il Turkmenistan", dicono. Superato l'Iran c'è la 'Porta dell'inferno', in Turkmenistan, verso Uzbekistan, "Ti danno un gps, un transponder che devi restituire entro 5 giorni". Ovviamente niente social, niente internet. Il buio comunicativo. Con difficoltà il team arriva a Samarcanda. "Da lì entriamo nel Pamir, per attraversarlo ci abbiamo messo 4 giorni - dicono - a 4.000 metri di altezza, con temperature a sotto zero, dormivamo a casa delle persone. Tutto il Pamir zona indipendente, da lì in Kirghistan, dove è c'è stato un colpo di Stato". Nel frattempo la macchina ha un guasto importante. "A Osh abbiamo lasciato la macchina, e in cambio di una notte abbiamo regalato una tenda e mezzi". "Fino a due ore prima della partenza dell'aereo da Osh, la dogana ci ha detto che non potevamo partire perché non potevano lasciare la macchina lì", ricordano. Poi il problema è stato risolto, grazie all'ambasciata. In tutto il team ha percorso 11.200 km sui 15.000 totali.

Un'avventura che ha lasciato ai tre giovani palermitani una grande emozione. "Più il paese in cui vai è povero e più è forte il senso di comunità", dicono. "L'unica maniera per abbattere i pregiudizi è viaggiare e conoscere le persone - dicono all'unisono -. In Iran la gente era molto curiosa, ci chiedeva pure le regole del gioco delle carte siciliane". Il Mongol Rally, per 'Unni City' è "solidarietà, conoscenza, sopravvivenza, devi fisicamente sopravvivere, è condivisione, con i locali, non è un viaggio in solitaria, o interagisci o muori", dicono. Un aneddoto: "Quando arrivavamo nei paesini più piccoli i bambini ci chiedevano la cioccolata, non volevano né soldi né giocattoli ma tanta cioccolata che poi dividevano in parti uguali, senza mai litigare"."Questa è un'altra grande lezione". E il prossimo passo? Organizzare una mostra sul viaggio e sui disegni realizzati dai bambini a Istanbul. In nime della solidarietà.

Fonte: Adnkronos

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