rotate-mobile
Venerdì, 29 Marzo 2024
Sport

Eroina e vita da barbone: la parabola di Maurizio Schillaci

Il cugino di Totò adesso a 51 anni: dopo un passato da calciatore a ottimi livelli è un senzacasa. Vive per strada, dorme nei treni. Zeman s'innamorò di lui ai tempi del Licata dei miracoli. Poi la Lazio, l'infortunio e l'eroina

In molti se lo immaginavano chissà dove, a sorseggiare whisky e parlare di pallone con gli amici, a godersi i suoi 51 anni, da qualche parte nel mondo. Invece Maurizio Schillaci, cugino di Totò, ex stella della Lazio negli anni Ottanta, vive per strada. Impossibile parlare di lui senza emozionarci. Perché Maurizio è stato un fenomeno del pallone palermitano. Bellissimo a vederlo, al punto che a Licata, dove fu il protagonista assoluto della scalata dalla C2 alla B, lo chiamavano "gazzella". Un trequartista dalle caviglie piccole, dal tiro mortifero e dalla fantasia assoluta. Sorriso dolce e capelli lunghi: a 51 anni Schillaci ha perso tutto. Seppellito da mille disgrazie, ha conosciuto la cocaina, l'eroina, e vive da emarginato. E’ un senzatetto, un uomo senza lavoro né amici. E ha bisogno di aiuto. Vive per strada, nelle strade del centro, tra Vucciria e Ballarò. Dorme nei treni fermi alla stazione.  

Sino al 1986 la sua vita era perfetta. Lui, palermitano del Capo, era considerato da tutti più forte del cugino di Totò. Di lui s'era innamorato Zeman, che lo conobbe nel capoluogo e se lo portò a Licata. Maurizio esordì a Palermo, la sua città, a 18 anni. Due gol in quattro partite, l'esplosione col boemo, che lo vuole anche al Foggia. Poi la vita di Schillaci è precipitata in un buco nero. 

“Sul più bello sono passato dalle stelle alle stalle - ha raccontato -. Le mie stagioni migliori le ho vissute in B con Zeman. Segnavo gol a ripetizione. Poi è arrivata la Lazio. Era il mio periodo di grazia. Vivevo nel lusso, ho cambiato 38 auto, ho giocato nello stadio dei sogni, l’Olimpico. Contratto di 500 milioni per 4 anni. poi qualcosa non va per il verso giusto. I primi infortuni, gli stop. Poi scopro perché. Vado in prestito a Messina, là trovo mio cugino Totò. Tutti i giornali parlavano di noi, io e lui facevamo a gara a chi segnava di più. Ma la mia carriera in realtà s’è spezzata a Roma".

Tutta colpa di un infortunio mai curato. Da quel momento in poi Schillaci si ferma. Non riesce a mettere insieme dieci partite a stagione. Gioca e si rompe. La gente comincia a insinuare, lui conosce la depressione. La stella si spegne. "Quell'infortunio rimediato ai tempi della Lazio mi impediva di esprimermi al meglio. I medici hanno sottovalutato il problema, mi imbottivano di cortisone. Facevo poche partite e mi fermavo. Mi chiamavano il “malato immaginario” o il “calciatore misterioso”, perché ero sempre in infermeria. In realtà avevo un tendine bucato. A Messina si accorgono del problema, mi curano, ma la carriera era ormai volata via. Poi ho subito altre situazioni. Più brutte degli infortuni. Vado alla Juve Stabia, ormai ho 33 anni. E qui conosco la droga. La cocaina, poi l’eroina. Nel frattempo ho divorziato da mia moglie. Adesso passo le giornate pensando a racimolare qualcosa per mangiare e comprarmi le sigarette. Ma voglio trovare un lavoro e cambiare vita. Ricominciare”.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Eroina e vita da barbone: la parabola di Maurizio Schillaci

PalermoToday è in caricamento