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Le accuse dei pm al Palermo: "Società non in grado di autofinanziarsi"

I pubblici ministeri Andrea Fusco e Francesca Dessì hanno depositato al Tribunale fallimentare gli atti giudiziari. I magistrati ipotizzano diverse "falsità" studiate per "azzerare la perdita di esercizio". L'esperto: "Ecco i risvolti sul piano sportivo"

Avrebbero messo su un sistema di scatole cinesi e realizzato operazioni fittizie per cercare di mantenere i bilanci in equilibrio, coprire i debiti che secondo i pm ammonterebbero a 63 milioni (al 30 giugno scorso) e garantire l’iscrizione al campionato di calcio, ma secondo i magistrati il Palermo non sarebbe neanche in grado di autosostenersi e per questo avrebbe effettuato diverse operazioni sospette che rischiano di farla scivolare verso il crac. Sono queste le pesanti accuse - scritte nero su bianco - mosse dal pool di magistrati che hanno presentato l’istanza di fallimento per la società di Maurizio Zamparini dopo la relazione consegnata dal consulente nominato dai pm ed a seguito delle indagini dei finanzieri del Nucleo di polizia tributaria. Quattro giorni fa PalermoToday aveva anticipato quelle che erano le possibili accuse mosse dai pm. Stavolta invece a "parlare" - per la prima volta - sono gli atti giudiziari che i pubblici ministeri Andrea Fusco e Francesca Dessì hanno depositato al Tribunale fallimentare.

Giammarva: "Pronti a confutare tutte le accuse"

Nel corso di accertamenti e analisi contabili i magistrati hanno messo in luce come, oltre al debito da 63 milioni, il Palermo avrebbe un patrimonio netto negativo di oltre 18 milioni di euro e una previsione di flussi di cassa negativi per 27 milioni (al 30 giugno 2018), cui si aggiungerebbero il mancato versamento dell’Iva per 1,8 milioni di euro e altre somme “minori”. Una situazione debitoria alla quale non sarebbe possibile mettere un freno neanche con la cessione in blocco dell’intera rosa, valutata poco meno di 20 milioni di euro. Sotto la lente sono finiti i bilanci degli anni 2014, 2015 e 2016, che secondo i magistrati conterrebbero numerose “falsità” studiate per “azzerare la perdita di esercizio” e creare plusvalenze utili per modificare i registri contabili ma mai entrate nelle casse societarie.

Parla l'esperto: "Illecito disciplinare"

"Possiamo sicuramente dire che si tratta di illecito, ma tutto dovrà essere dimostrato". A parlare a PalermoToday è Cesare Di Cintio, esperto di diritto sportivo, avvocato della Dcf Sport Legal, studio legale specializzato in consulenza ed assistenza giuridico-sportiva. "Il mio presupposto è che tutto quello che si legge sui giornali non è un giudizio di condanna. Tutto dovrà essere analizzato in tribunale. Stiamo parlando di una ricostruzione di parte, che è quella della Procura appunto. Qualora dovessero essere confermate queste ipotesi sicuramente si parlerebbe anche di responsabilità di natura disciplinare. Si va dall’articolo 1 (violazione dei principi di lealtà e di probità e correttezza) che a sua volta va di pari passo con l’articolo 21 delle Noif (norme organizzative interne della federazione, ndr) che però scatta soltanto quando c’è il fallimento. La società potrebbe non essere dichiarata fallita ma potrebbero emergere altri problemi di natura contabile. Ripeto: bisogna capire se esistono innanzitutto gli elementi per parlare di fallimento o meno. Nel caso venga dichiarato il fallimento, però, ci sarebbe sicuramente la responsabilità dei dirigenti perché l’articolo 1 combinato con l’articolo 21 delle Noif prevede che vengano sanzionati anche con la radiazione coloro che hanno contribuito a creare dissesto economico della società. Responsabilità oggettiva che verrebbe comunque collegata al Palermo in quanto il club rosanero è affiliato alla federazione e quindi sottoposto alla giustizia sportiva".
 
Illecito sportivo che riguarderebbe l’alterazione del risultato delle partite. "Ma in generale io qui parlerei più di illecito disciplinare - puntualizza Di Cintio -. In più il fatto che il Palermo ha ricevuto istanza di fallimento dalla Procura riguarda un altro piano di argomenti. Più piani, anzi: giustizia ordinaria e quindi istanza di fallimento; e quello della giustizia sportiva ovvero i risvolti che la procedura fallimentare potrebbe avere sul piano sportivo. A oggi si tratta di una richiesta avanzata dalla Procura della Repubblica, deve ancora svolgersi un processo. La giustizia sportiva potrebbe prendere atto di procedimenti che possono sfociare nel fallimento e a quel punto la situazione avrebbe un'incidenza sportiva. Tutto passerebbe nelle mani del curatore che deve ottenere l’esercizio provvisorio per far continuare il campionato e poi lì avremmo due processi paralleli. Se non dovessero esserci le risorse potrebbero esserci le dovute penalizzazioni".

Gli scenari futuri

"Bisognerà capire se ci siano i presupposti per dichiarare fallito il Palermo - aggiunge Di Cintio - e poi da lì potrebbero aprirsi altri scenari. L‘unica cosa certa è la richiesta di fallimento, il resto sono tutte ipotesi, che dovranno essere verificate. L’aspetto delle operazioni apportate da Zamparini è ben diverso, ma siamo sempre sul piano delle ipotesi ovviamente, in quel caso si parlerebbe di illecito disciplinare. Se dovessero emergere degli atti che confermerebbero tutto ciò è chiaro che comporteranno delle sanzioni disciplinari perché stiamo parlando tutta la vita della violazione dell’articolo 1. Ma ad oggi non possiamo prevedere quello su cui si baserà il Palermo. Chissà a questo punto quali saranno gli atti difensivi del Palermo. Se ci sono o non ci sono i presupposti per dichiararla fallita? Qualora fosse così potremmo anche parlare di incidenti in campo sportivo. L’operazione sulla cessione del marchio alla terza società in sé e per sé è un’operazione lecita, bisognerà capire quali strumenti abbia usato il patron Zamparini. Ma senza gli atti difensivi diventa difficile analizzare la questione”.

Lo spettro della radiazione sul Palermo

Tutte accuse alle quali il patron friulano potrà rispondere il prossimo 7 dicembre nel corso dell’udienza fissata davanti al giudice delegato Giuseppe Sidoti e al tribunale fallimentare di Palermo, presieduto da Giovanni D’Antoni. Qualora dovessero condividere le ricostruzioni degli inquirenti, per la società rosanero si potrebbero aprire scenari apocalittici che contemplano la il fallimento, la bancarotta fraudolenta e la radiazione.

La questione Mepal

Uno degli altri  nodi cruciali sarebbe costituito dalla cessione del marchio alla Mepal (“Merchandising Palermo”), un’operazione andata in porto a quattro giorni dalla chiusura del bilancio (il 26 giugno 2014) per la cifra di 17 milioni (contro la valutazione iniziale di 23 milioni, modificata in considerazione di un debito contratto con Unicredit che valutava tra l’altro il marchio poco più di 10 milioni di euro). E così la Mepal, affidata al figlio Diego Paolo Zamparini e partecipata per intero dall’Us Città di Palermo, acquisisce il marchio.

Due anni dopo la Mepal viene ceduta alla società lussemburghese Alyssa, di fatto controllata dallo stesso Zamparini come accertato della guardia di finanza: nel corso delle perquisizioni sono state ritrovate dele mail che chiarirebbero alcuni passaggi o, per meglio dire, quelli che l’accusa considera artifizi contabili per bilanciare le passività e occultare fondi. Il capitale sociale Alyssa, stando alle mail trovate in nel computer della segretaria del presidente friulano, sarebbe posseduto da un’altra società lussemburghese Kalika, detenuta dallo stesso Zamparini e dalla moglie. Ma non si troverebbe traccia delle modalità con le quali, per la vendita di Alyssa, siano stati pagati i 40 milioni necessari. Salvo poi trovare una comunicazione in cui l’amministratore di Alyssa, Jean Marie Poos, ritenuto “prestanome” del presidente, si impegnerebbe a pagare l’importo in tre rate (che ad oggi non risultano pagate).

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