Al Parco della Favorita per dire No agli incendi: "Una via Crucis tra randagi e prostitute"
Lettera aperta ai signori consiglieri del Comune. Ieri venerdì 26 agosto 2017 un gruppo di cittadini si è dato appuntamento davanti alla Palazzina Cinese per dire NO agli incendi che hanno devastato la Sicilia, distruggendo migliaia di ettari di boschi e macchia mediterranea. L'iniziativa, promossa dal Circolo Legambiente Mesogeo, dalla Federazione dei Verdi e dall'Associazione Comitati Civici Palermo, ha avuto lo scopo di sensibilizzare i concittadini sul tema molto sottovalutato della difesa del nostro ecosistema, contribuendo a far conoscere, con una passeggiata dentro il Parco della Favorita, la bellezza del nostro polmone verde e l'importanza della sua salvaguardia. Per questo scopo i concittadini hanno aderito alla raccolta firme promossa dalla Federazione dei Verdi per chiedere al Parlamento italiano di introdurre nella nostra legislazione il reato di tentata strage per i responsabili di incendio doloso attraverso l'innesco di punti plurimi e nei luoghi pubblici confinanti. Dalla Palazzina Cinese il gruppo ha percorso il tragitto fino al "Patriarca", l'Ulivo millenario che dimora nel Parco, scoperto nel 2011 all’interno di un agrumeto occupato e recintato abusivamente. La pianta, in buone condizioni, produce ancora olive e costituisce un tesoro ambientale. Infatti per le sue misure eccezionali (dieci metri di altezza, undici di circonferenza massima del tronco e quindici di chioma), oltre che per l'età, desumibile dalle sue inconsuete dimensioni, visto che si tratta di una pianta a crescita lenta, è diventato il vero simbolo della Favorita, simbolo di resistenza all'abbandono ed all'incuria degli uomini, continuando a produrre frutti ed a germogliare nonostante tutto. Ma quella che doveva essere una manifestazione contro gli incendi si è trasformata in una specie di via crucis dentro un parco immerso nella desolazione. Fra i partecipanti c'erano persone che non si erano mai addentrate al di là del cancello di ingresso e che sono rimaste turbate nel vedere lo stato in cui versa quel luogo altrimenti meraviglioso: alberi da frutto rinsecchiti e bruciati dalla siccità, sterpaglie, ailanto (pianta estremamente infestante) che cresce rigogliosamente, spazzatura fuori e dentro l'area della splendida palazzina Cinese, il museo Pitrè chiuso da due anni, panchine distrutte, la fontana della piazza della statua di Ercole asciutta. Lungo i viali abbiamo incontrato colonie di cani randagi e prostitute che accolgono i clienti in pieno giorno, incuranti della presenza di bambini. Ci chiediamo a chi si debba attribuire questa situazione disastrosa, che stride con le dichiarazioni ufficiali e con le notizie che filtrano attraverso la stampa, dove si pubblicizza un parco rinato a nuova vita. In realtà, se si oltrepassa di pochi metri la striscia di parco che costeggia i viali dove sfrecciano le auto, lo spettacolo è quello che documentiamo con le nostre immagini. Esistono precise responsabilità da parte dei dirigenti che hanno il dovere di curare e custodire un bene che appartiene a tutti noi cittadini, che non viene irrigato nonostante la ricchezza d'acqua del parco e l'esistenza di un sistema di irrigazione distrutto per mancanza di adeguata manutenzione. Noi pretendiamo che ciascun ente preposto alla cura ed alla salvaguardia del verde pubblico si assuma le proprie responsabilità e che il nostro polmone verde venga coltivato, irrigato, ripulito e controllato, ma non con interventi eccezionali da sbattere in prima pagina sui giornali come se si trattasse di eventi speciali, bensì con un'attenzione costante e normale, come succede nelle città ordinariamente civili. Qualunque città europea sarebbe orgogliosa di avere un parco grande e bello come il nostro, ricco di tesori artistici e architettonici, oltre che naturalistici, disteso fra il centro di una città d'arte e la sua spiaggia dai colori caraibici, ai piedi di un magnifico promontorio. Invece sembra che gli amministratori non ne abbiano mai colto veramente l'importanza, visto lo stato di abbandono che ieri, ancora una volta, abbiamo toccato con mano.