"Le borgate palermitane, dove il tempo scorre lentamente e lentamente muore ogni passione"
Di Eusebio Dalì
La retata di Ballarò, le bastonate del capo, la notte di violenza alla Vucciria e il degrado un po’ ovunque, se ovunque non è via della Libertà e dintorni. E' il fetore di un degrado che si respira a pieni polmoni nella "city" Capitale della cultura, l’olezzo che purtroppo permea tutte le borgate palermitane, dove la gente profuma di verità ma il puzzo del compromesso quotidiano si sente forte, dove “tutto fa colore, rifiuti e povertà”. Sì, nelle borgate palermitane c’è povertà. È povertà culturale, sociale, economica. E' la vera povertà, quella di un’emancipazione che stenta a decollare, perché è forte, ancora troppo forte, il mantra della strada e dell’arrangiarsi.
Nelle borgate palermitane si sta in strada, tutto il santo giorno, a lottare coi denti e con le unghia contro la noia e l’inedia; a disputare continuamente sul nulla, mentre passa, quasi per caso, una pattuglia della polizia e partono gl’improperi; perché lì ancora si fa così, “i sbirri su’ sbirri e noi siamo quelli tochi”. Nelle borgate palermitane la dispersione scolastica non è un’emergenza, ma una realtà, figlia dell’assuefazione a un mondo dove “i libri pane a casa non ne portano, una cavigghia con lo zio invece sì”. Nelle borgate palermitane il tempo scorre lentamente e “lentamente muore” ogni persona, ogni slancio, ogni passione. Anfratti e androni scrostati nascondono pensieri e segreti; marciapiedi ingrigiti accompagnano passi monotoni che zizagano tra le buche e le radici di alberi mai potati; desolate villette pubbliche fanno da sfondo a un dipinto decadente; cestini ricolmi di cartacce traboccano incuria e inciviltà; ed i bar sono il viavai di perditempo squattrinati e oziose sentinelle della zona.
Nelle borgate palermitane sempre più saracinesche rimangono abbassate, a mezz’altezza quando il feretro passa, completamente quando le carte non passano e non s’incassa un euro. Nelle borgate palermitane si tifa per il Palermo, si fanno i tocchi su tavoli sgangherati di una taverna d’altri tempi, si fa la spesa tra le urla colorate e colorite dei mercatari, si gioca al pallone dove capita, mentre dense fumate segnalano presenze di stigghiolari affaccendati; nelle borgate palermitane pulsa il cuore della vera Palermo, quello che si apre di generosità, quello che palpita di felicità, quello che si accartoccia all’ indifferenza dei potenti e “s’arraggia” all’inefficienza dei politicanti.
Nelle borgate palermitane ogni cinque anni si vive la campagna elettorale come fosse l’ultima spiaggia per gli ultimi dei moicani, tra epiteti al cornuto di turno che “si viene a prendere i voti e poi non si fa più vedere” e “votiamo per questo, almeno è di qua e sappiamo dove trovarlo se ci serve un favore”. Nelle borgate palermitane si vive il post-campagna elettorale con la stessa disillusione di sempre. L’ennesimo figlio del popolo che ce l’ha fatta, l’ennesimo “cornuto” che non si fa più vedere e quel nulla tutt’intorno che resta nulla. Aspettando la prossima campagna elettorale e i prossimi programmi, che da destra a sinistra ridondano di belle parole, scritte in neretto, sull’importanza delle periferie, eccetera eccetera eccetera. Nelle borgate palermitane c’è tanta brava gente, onesta, semplice, genuina. C’è la Palermo vera. Ma sono borgate, sono periferie e nessuno mai se ne occupa. Almeno fino alla prossima campagna elettorale.