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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Intervista al regista Salvo Cuccia: "Mafia silenziosamente attorno a noi"

Marina Fontana intervista l'autore cinematografico che ha firmato il film "Lo Scambio". "Sono cresciuto nel cinema che mio nonno aveva aperto alla fine degli anni '40 a Villafrati. I miei maestri? Raùl Ruiz e Vittorio De Seta"

Riceviamo e pubblichiamo:

Intervista a Salvo Cuccia, regista del film "Lo Scambio"
di Marina Fontana

"Ci sono bambini che nascono durante una corsa verso l'ospedale, altri in guerra sotto le bombe, altri comodamente in una clinica privata. Io sono nato in un cinema. Non scherzo: sono nato in un cinema nel senso che sono cresciuto nel cinema che mio nonno aveva aperto alla fine degli anni '40 a Villafrati, il Cinema Cuccia. L'ho frequentato per tutta la mia infanzia. Ho cominciato a realizzare video alla fine degli anni '80. Qualche anno prima avevo fondato insieme ad alcuni amici 'Arte Visiva Elettronica', una associazione culturale con cui ho proposto le prime rassegne di videoarte a Palermo, proiettando i video di Nam June Paik, Bob Wilson e di altri grandi autori. Nei primi anni '90 ho sperimentato con il video il rapporto percettivo suono/immagine, creando dei 'duo' per telecamera e strumento musicale: utilizzavo la telecamera come strumento di improvvisazione. 'Duo with Peter Kowald' o 'Duo con Evan Parker' ne sono esempi".

"In seguito ho messo insieme in 'Videoplunders' 14 musicisti che avevo registrato in tempi e luoghi diversi, componendo un brano di musica di derivazione. Alcune di queste registrazioni le avevo realizzate durante le riprese del mio documentario 'Angelica' su Angelica Festival Internazionale di Musica di Bologna. Nello stesso periodo ho lavorato come aiuto regista di Raùl Ruiz e ho conosciuto Vittorio De Seta: due incontri importanti nella mia vita. Dal '94 al '96 ho girato tre corti di finzione che chiamo 'Trilogia della terra', 'Un sogno di lumaca' (vincitore 2° premio Spazio Italia a Torino Film Festival '95) e 'Terra Madre'. La leggenda della diversità', 'La cena informale', quest'ultimo con l'attore hollywoodiano Vincent Schiavelli, col quale nacque una grande amicizia, un uomo meraviglioso e attore cult. Contemporaneamente continuavo la mia sperimentazione nel video con perfomances dal vivo con musicisti e installazioni".

"Dal 2000 in poi ho focalizzato l'attenzione soprattutto sul documentario e sulle sue possibilità espressive. "Détour De Seta" sull'opera di Vittorio De Seta è indubbiamente il lavoro più importante e che mi ha dato maggiori soddisfazioni in quel periodo, basti pensare che Martin Scorsese lo vide e decise di fare un omaggio a De Seta presentandolo al Tribeca Film Festival e al Full Frame Documentary Film Festival insieme ai documentari degli anni '50 e due film di De Seta. Ho continuato con alcuni documentari realizzati per Rai Educational, per il programma di Giovanni Minoli "La Storia siamo noi" e per "Magazzini Einstein" di Maria Paola Orlandini e da queste importanti esperienze sono approdato al primo film di finzione, strettamente legato al lavoro di approfondimento giornalistico su vicende di storia recente fatto con i documentari".

"'Lo Scambio' è un film che ispirandosi a una storia vera ne trasmette unicamente l'essenza, un film di invenzione, un dramma psicologico, non un film di mafia o sulla mafia che siamo abituati a vedere. Ma prima, dal 2010 al 2013 ho lavorato a un progetto che mi stava molto a cuore e che riguardava uno dei miei musicisti preferiti: Frank Zappa. Sono nati due lavori, "1982 l'Estate di Frank" e "Summer 82 when Zappa came to Sicily", il primo per RAI Educational, il secondo, più lungo ed esaustivo, prodotto in collaborazione con RAI Cinema, è stato presentato nel 2013 come Evento Speciale alla 70° Mostra del Cinema di Venezia. E ora sono solo all'inizio".

La prima domanda sorge spontanea: chi è Salvo Cuccia e come nasce la passione per il cinema?
"Ho passato la mia infanzia a Villafrati e sono cresciuto nel cinema Cuccia, che mio nonno aprì alla fine degli anni '40. Mio padre continuò insieme ai suoi fratelli ma morì giovanissimo e io ho gestito il cinema insieme ai miei zii per qualche anno. Abitavo al secondo piano di un palazzo nella piazza del paese, al primo abitavano i miei nonni e al pianterreno c'era il cinema. Per tutti quegli anni ho vissuto dentro al cinema e ho viaggiato d'estate insieme a mio padre col Cinemobile Cuccia a fare proiezioni nelle piazze dei paesi. Poi continuai io girando in lungo e in largo per i paesi della Sicilia occidentale. salvo cuccia-2Ho sentito l'odore delle pellicole per anni nella cabina di proiezione e mi è rimasto dentro, come una lezione percettiva di storia del cinema. La mia formazione e il mio amore per il cinema sono nati lì. Ho visto e rivisto centinaia di film degli anni '60, '70 e '80 e anche degli anni '50 riproposti anche dopo molto tempo. Ho sempre avuto una propensione per l'arte, disegnavo, dipingevo e poi cominciai a suonare la chitarra e feci un gruppo con alcuni amici. La musica per me è sempre stata una cosa importante. Ho continuato con il video: dopo aver conosciuto i grandi della videoarte ho deciso di sperimentare con questo mezzo e creare dispositivi di visione attraverso la ricerca tra suono e immagine. La prima lezione di Nam June Paik, considerato il padre della videoarte, è 'il tubo catodico è il mio pennello e lo schermo la mia tela', un concetto che ha rivoluzionato e influenzato il mio modo di intendere il video. Ho viaggiato con l'idea di creare a prescindere dalle forme, dalla videoarte al documentario e alla finzione, lavorando sempre a stretto contatto con i musicisti e con altri artisti, artisti del suono, artisti visivi. Fondante per me l'esperienza come aiuto di Raùl Ruiz, regista visionario col quale lavorai per due stagioni in due film a Fiumara d'Arte di Antonio Presti, altro visionario. Quando stavamo girando 'Il Viaggio Clandestino. Storie di Santi e Peccatori', un film totalmente no budget, chiesi a Antonio Presti 'qual è il budget di questo film?' e lui rispose 'il budget è il sogno'. In effetti nel lavoro di Ruiz era fondamentale questa assenza della linea di confine tra sogno e realtà. Lui diceva che continuava a fare un unico film nella sua vita, un film continuo fatto di tutti i suoi film… la vita è sogno! E questa 'pericolosa' frequentazione con uno sperimentatore come Ruiz è stata per me fondamentale e piena di magia. In fondo tra noi siciliani e i sud americani c'è molta vicinanza quando si tratta di visionarietà e immaginazione. Nello stesso periodo conobbi Vittorio De Seta, considerato oggi il vero padre del cinema documentario in Italia, il padre della 'poesia del reale'. Questi sono stati i miei maestri involontari tramite cui ho unito e saldato insieme il cinema di invenzione e quello del reale. D'altronde uno dei miei film preferiti in assoluto nella storia del cinema è 'Il giudizio universale' di De Sica e Zavattini. Un film che consiglio a tutti di vedere e rivedere. Per me è stato molto importante il riconoscimento di Martin Scorsese che nel 2005 ha voluto presentare il mio documentario 'Détour De Seta' al Tribeca Festival e al Full Frame documentary Festival, che lo ispirò a fare un omaggio a Vittorio De Seta. Pochi sanno che sono l'unico autore italiano ad aver partecipato per ben tre volte al Full Frame, il più importante festival di documentari negli Usa di cui Scorsese è il presidente onorario".

Quanto è durata la stesura del testo del film "Lo Scambio" e quali problemi avete incontrato?
Conobbi Alfonso Sabella, il magistrato con cui ho scritto la sceneggiatura del film, nel 2008 quando lo intervistai in occasione di un documentario che stavo girando per il programma di Giovanni Minoli 'La storia siamo noi'. Quell'incontro per me fu fulminante e in seguito lo incontrai diverse volte, facendogli molte domande su fatti di mafia che lui aveva vissuto in prima persona come inquirente. Trovandomi davanti all'uomo che aveva condotto gli arresti eccellenti di boss del calibro dei Brusca, Bagarella, Aglieri e altri, la mia curiosità crebbe a dismisura. Il suo atteggiamento da guerriero della legalità mi impressionò molto anche perché avevo davanti un uomo che a metà degli anni '90 subito dopo la stagione degli attentati a Falcone e Borsellino era giovanissimo e viveva blindato, facendo parte del pool antimafia di Giancarlo Caselli. Non mi ero mai interessato a fatti di cronaca mafiosa, ma i suoi racconti erano veramente forti e ricchi di particolari. Decisi di scrivere un soggetto insieme allo sceneggiatore Marco Alessi e lo sottoposi a Sabella. A lui piacque molto e da lì cominciò l'avventura di questo film. Scrivemmo insieme la sceneggiatura che si sviluppò nell'arco di un anno e mezzo e poi continuai insieme a mia figlia Federica Cuccia. A quel punto Eleonora Cordaro, produttrice di gran parte dei miei lavori, mise in moto la macchina dei finanziamenti e riuscì ad avere il preacquisto di Rai Cinema, tanti sponsor e il contributo della Sicilia Film Commission. Sono passati quattro anni prima di poter girare il film, prodotto interamente con le nostre forze. Eleonora Cordaro ha anche distribuito il film che è uscito nei cinema a giugno di quest'anno riscuotendo un buon successo di pubblico e critica. Come diceva Orson Welles 'ho passato l'80% della mia vita a cercare soldi e il 20% per farli' e per il cinema d'autore ancora oggi è così".

Il tema della mafia, quanto si discosta la sua regia dagli stereotipi di una narrazione cinematografica classica della mafia?
Non avrei mai immaginato di fare un film di mafia o sulla mafia. E invece ho cominciato così. Il mio interesse però non si è concentrato meramente su drammatici fatti di cronaca mafiosa avvenuti a metà degli anni '90. La molla che ha fatto scattare l'interesse per questo film è stato il fatto che mi trovavo davanti tutti gli elementi di una tragedia greca. Non ho mai pensato di fare un film di pistole, assassinii, inseguimenti, azione, insomma un film di eventi 'meccanici' e spettacolarizzati con cui si racconta la criminalità oggi. Ma un film in cui guardiamo dentro i personaggi, fino alle viscere. Chi sono questi criminali? salvo cuccia 3-2Che hanno di diverso dalla gente comune nel loro modo di intendere e affrontare la vita quotidiana? Dai racconti di Alfonso Sabella emergevano in maniera inquietante informazioni di una abberrante quotidianità: è come se ognuno di questi personaggi facesse il proprio lavoro nella normalità di una vita ribaltata e votata al male. E' l'aspetto più sconcertante su cui mi sono concentrato. 'Lo Scambio' è una storia morale di cause ed effetti, di legge del contrappasso, in cui tutti nel bene e nel male, soccombono. E, cosa rarissima, non c'è nessuna possibilità di transfert con il protagonista negativo. In una intervista Sabella ha usato parole durissime verso questi personaggi che hanno rovinato la nostra terra: 'sono pezzi di merda e come pezzi di merda vanno trattati'. Il mio atteggiamento non è di uno che sventola la bandiera dell'antimafia, nel senso della retorica dell'antimafia. Non ho puntato su questo: sono un regista e ho voluto fare semplicemente cinema. Se ne sono accorti i francesi a Annecy Cinema Italien, dove ho ricevuto il premio speciale della Giuria: mi hanno spiegato loro il film usando le mie stesse parole. Lo hanno capito perfettamente pur non conoscendo il contesto mafioso in cui è ambientato il film e ne hanno compreso pienamente lo spirito. E' un film di cinema, un film in cui realtà e invenzione cinematografica si fondono per raccontare l'essenza delle cose, l'essenza del male, questa è la caratteristica fondamentale del film che si discosta totalmente dal genere. Per questo motivo non ci sono i nomi dei personaggi reali a cui la storia si è ispirata, né c'è una somiglianza fisica degli attori con i personaggi reali. Il lavoro che abbiamo fatto io e mia figlia Federica insieme agli attori è stato di andare nella direzione di ciò che i personaggi sono dentro e che cosa rappresentano in una sorta di estrazione della loro interiorità. E' un film ostico, durissimo e coraggioso che non prende lo spettatore per mano e lo accompagna come un bambino per tutta la narrazione ma che chiede una grande concentrazione durante la visione e che arriva allo stomaco come un pugno, attraverso la percezione, l'emozione e non attraverso la testa.

Lei si definisce un ricercatore di linguaggi, ci spieghi cosa significa…
"E' una cosa che mi piace ripetere avendo lavorato durante tutti gli anni di attività a cose molto diverse come dicevo prima, videoarte, documentario, fiction, ponendomi davanti la questione dei linguaggi della visione e del suono non come elementi di forma ma che sono fusi naturalmente con il contenuto. Per me per esempio l'approdo al documentario ha rappresentato l'occasione di sperimentare tanto quanto nella videoarte. Per me il documentario è un contenitore di linguaggi in cui metto insieme le mie esperienze negli altri campi. Non mi piace assolutamente né la parola stessa, né i risultati di quella che viene chiamata 'docufiction', è una definizione che appartiene a una superficialità di intenzione e assenza di profondità di linguaggio. Ho sperimentato altro che mettere degli attori a fare 'i pupi' in parti di finzione insieme a documenti di realtà e repertori veri, dentro a un contenitore come il documentario (lo feci solo una volta e mai più). Ho sperimentato l'intreccio di musica, suoni e immagini, l'utilizzo di vari supporti di ripresa come la pellicola super8 insieme all'HD o le immagini di repertorio che a volte appaiono come di fiction: e tutto si ribalta in un gioco di specchi giocato spesso tra passato e presente. E' piuttosto l'armonia compositiva di cui lo spettatore non si accorge direttamente a mettere tutti gli elementi contrastanti insieme. Come diceva Frank Zappa che se la vita è fatta di elementi contrastanti a maggior ragione la musica. Sta nell'equilibrio di elementi diversi la via per raccontare in maniera complessa con estrema semplicità. Non a caso ho realizzato un film documentario su Frank Zappa con cui ho partecipato alla Mostra del Cinema di Venezia tre anni fa - fu presentato come evento speciale fuori concorso - e ho ricevuto un 'premio' dal pubblico: ha pianto e riso. Un grande premio!".

La cosa più facile e quella più difficile durante le riprese?
Le poche settimane di riprese del film sono state tra le più emozionati e belle della mia vita. Penso che per un regista il momento in cui si gira rappresenti la sublimazione dei propri sogni e delle proprie aspirazioni, il momento in cui può liberare tutta la sua energia creativa. Tutto questo ha una sola parola: bellezza. Un giorno ero talmente felice del lavoro che stavamo facendo che ho chiesto a Clarissa Cappellani, la direttrice della fotografia, se stesse provando le stesse emozioni che stavo provando io, mi rispose di sì e ci abbracciammo a lungo. Ho avuto la fortuna di fare il film con una grande produttrice come Eleonora Cordaro, con l'organizzazione di Giacomo Iuculano e con un aiuto regista come Christian Bonatesta. Mi hanno messo in condizione di lavorare nel migliore dei modi e abbiamo avuto veramente pochissimi intoppi e problemi di quelli che comunque rientrano nella normalità di un set. E poi con me ho avuto mia figlia Federica che ha curato tutte le prove con gli attori e che mi è stata vicina per tutte le riprese, stando attenta a tutte le sfumature di recitazione e di ciò che avveniva attorno ai personaggi: praticamente la sua è stata una seconda regia. E potrei citare tutto il resto della troupe, dal fonico Luca Bertolin in poi, tutti bravissimi, che hanno lavorato con grande impegno pur trattandosi di un film a bassissimo costo. E questo paradossalmente è stata la forza del film. Gli attori si sono sottoposti a lunghe prove, cosa che non avviene spesso nella preparazione dei film. Un'altra forza del film è l'entusiasmo degli esordienti: io al mio primo film lungo di finzione, Eleonora Cordaro come produttrice di un film, Clarissa Cappellani come direttrice della fotografia, Filippo Luna come attore protagonista, Barbara Tabita coprotagonista nel primo ruolo drammatico della sua carriera, Paolo Briguglia in un ruolo inedito e anomalo nella sua storia di attore.

A circa un anno dall'uscita del film, che sensazioni avete avuto?
"Come la gente percepisce la problematica della mafia? Ho avuto grandi soddisfazioni all'uscita del film nei cinema e non mi sarei mai aspettato ad esempio di avere veri apprezzamenti dal pubblico milanese e da quello napoletano a cui il film è piaciuto molto. Ho incontrato un signore tempo fa che mi ha raccontato che a Milano il pubblico ha applaudito al film, allo schermo, durante i titoli di coda. E quando avviene questo? Quasi mai. A Palermo il film ha generato discussioni su tutto e a tutti i livelli, dalla storia in se a come il film è stato realizzato. locandina lo scambio-2Ha aperto un dibattito. Spero che il film arrivi nelle scuole, coinvolgendo le ultime classi dei licei e nelle università, per aprire un dibattito lì e capire cosa accade nelle nuove generazioni. Sarà un momento importante avere questo feedback dai giovani. Bisogna distinguere territori e città per capire come la gente percepisce la problematica della mafia, da Palermo a Milano le cose cambiano radicalmente. La gente forse non sa molto di ciò che è realmente accaduto dalla metà degli anni '90 in poi. Il fatto più importante è la scelta del boss Provenzano che ha voluto la politica della sommersione e degli affari per la mafia, lasciando da parte le pistole, gli attentati e lo scontro frontale con lo Stato, la scelta vincente dell'universo mafioso. Ha vinto la sua linea rispetto a quella di Riina, non perché lui fosse più buono o umano - era un ferocissimo e spietato assassino al pari dell'altro - ma solo perché ha capito che la criminalità organizzata doveva fare una sterzata verso il mondo internazionale degli affari, dove risiedono i poteri forti, e mescolarsi a essi. Non so se la gente ha percezione di questo. La mafia c'è ed è silenziosamente attorno a noi, e non solo in Sicilia".

Tre domande da appassionato: il tuo regista preferito; il film della vita; il tuo genere preferito?
"Orson Welles, 'Il giudizio universale' di Vittorio De Sica, il mio genere preferito? Amo tutto il cinema. Qual è secondo te la situazione attuale del cinema italiano? E in particolare di quello di genere? Il cinema italiano si trova oggi in una situazione di netta crescita creativa rispetto ai decenni precedenti, con grandi autori come Sorrentino, Garrone, Rosi. Si trova in una situazione di affanno se guardiamo ai numeri: più dei film sono finanziate con molto più denaro la fiction tv e le serie, ma questa è una tendenza internazionale. In Italia oggi chi incassa (ma non sempre) è il comico o il personaggio che viene dalla tv che la gente già conosce e segue. Io lo chiamo autismo televisivo. La commedia più di spessore e di impegno morale come quella degli anni '60 e '70 oggi non ha riscontro presso i produttori e invece spererei di sì. E spesso il genere commedia è pure snobbato dai grandi festival: è un peccato perché in Italia è un valore aggiunto. E poi c'è l'universo del cinema documentario oltre al quello di finzione, un universo ricchissimo e pieno di continue sorprese".

Prossimi impegni?
"Non ne parlo per scaramanzia: due progetti di film e un documentario".

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