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Carini, visita alla grotta dei Puntali in piena riserva orientata

L'Istituto comprensivo Renato Guttuso continua a valorizzare il territorio e a promuoverlo

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di PalermoToday

Visita speleologica, stamattina, alla grotta dei Puntali da parte degli studenti, accompagnati dai rispettivi genitori, dell'Istituto Comprensivo Renato Gattuso di Carini, diretto dalla preside professoressa Anna De Laurentiis. La visita si inserisce nel più ampio progetto che ha visto coinvolti, al termine delle tradizionali lezioni scolastiche, gli studenti delle scuole del territorio, tra questi quelli della scuola Guttuso di Carini. Gli studenti, accompagnati dai professori Antonio Fundarò, Titti Cancelliere, Giovanni Piazza e Raffaele Vallone, hanno predisposto un programma teso a conoscere e, successivamente, valorizzare un territorio che ai più è perfettamente sconosciuto. La grande valenza del progetto risiede nel fatto che, congiuntamente agli studenti, le attività hanno coinvolto anche alcuni volenterosi genitori che si sono resi conto, di volta in volta, quanto prezioso fosse un territorio perfettamente sconosciuto ai molti. Questa mattina, per tra le mete, la visita della grotta dei Puntali che, dall'alto, guarda il golfo di Carini.

"I docenti interessati non solo, durante l'anno scolastico, hanno brillantemente potenziato, all'interno delle loro classi, le attività didattiche tese ad integrare quelli che sono, da molti, considerati i tradizionali programmi, ma hanno supportato la scuola in questo processo di crescita culturale e formativa che risponde ai bisogni della collettività carinese" ha commentato il dirigente scolastico professoressa Anna De Laurentiis. Grotta dei Puntali, (conosciuta anche come Grotta Armetta, Grotta delle Stallattiti, Grotta di Piraino) vero e proprio gruppo di quattro cavità di origine marina, scavate in un’antica linea di rive era già nota al Fazello ed è stata ampiamente descritta da Antonio De Gregorio, che effettuò degli scavi negli anni ’20 e ’40 del sec. XX da Ramiro Fabiani e dal tedesco Hans Pholig nel 1893. “Nel territorio di Carini, tre miglia distante dalla Terra, v’ha il monte, chiamato Lungo, alle cui falde si apre una Grotta d’immensa capacità, chiamata di Piraino. In essa si ritrovano ossa di Giganti: onde Fazello (dec I lib. I cap. 6.f.25) scrive: Mons est in Occidentem vergens (Mons Longus appellatus) ad cuius radices antrum est immensum, à Piraino nomen adeptum, ad Oppido 3.P.3. Diversum, in quo plura sunt Gigantum monumenta, unde, maxima eorum ossa, ac dentes eximiae admirationis frequenter ruuntur”. Tommaso Fazello precisamente riferisce che “Iccara è un antichissimo Castello de’ Sicani, oggi detto Carini, ed è lontano da Palermo verso ponente dodici miglia. In questo paese ci è un monte verso ponente, chiamato Monte Lungo, a piè del quale è un antro grandissimo, ch’ha nome Piraino, detto così da un castello ch’è lontano tre miglia, dove sono molte sepolture di onde si cavano i denti, ed ossa di meravigliosa grandezza. Di questa cosa ne sono testimoni i propri uomini d’Iccara, e insieme con loro quelli di Palermo”. Stazione degli antichi Carinesi, è anche conosciuta per la magnifica collezione di Mammiferi, estratta intorno al 1868 da Gaetano Giorgio Gemmellaro, il quale, per l’appunto, scavò il deposito paleontologico, una notevole quantità di ossa di animali per lo più di elefanti (Elephas mnaidrensis) del Pleistocene medio, scavi che misero in luce una “quantità enorme di avanzi fossili, con prevalenza di quelli elefantini del gruppo specifico dell’Elephas antiquus, rappresentati da numerosi crani, da moltissime mandibole, denti sciolti, ossa varie, riportabili a qualche centinaio d’individui”. Dalla grotta proviene uno scheletro completo di elefante nano, che oggi si trova conservato presso il Museo Geologico dell’Università di Firenze e soprattutto in quello dell’Università di Palermo.

Il primo studio scientifico, anche se parziale, sulla grotta e sui fossili è di Hans Pholig (1893) a cui seguirono quelli del 1909 e del 1911. Durante gli scavi del 1909, da lui stesso effettuati, furono rinvenuti anche i resti di una nuova specie di Megaceros (cervo), ma il materiale raccolto andò ad arrichire la sua collezione privata. La grotta viene ancora menzionata da Vaufrey (1928 e 1929) nei risultati dei suoi studi condotti sul paleolitico e sulle faune pleistoceniche delle grotte siciliane. Altri reperti, recuperati dagli scavi condotti dal Marchese A. De Gregorio (1925), incrementarono la collezione storica del Museo dell’Università di Palermo, ulteriormente arricchita dai nuovi saggi effettuati nel 1928 da R. Fabiani. Negli anni fra il 1925 e il 1946 lo stesso Fabiani, allora Direttore dell’Istituto di Geologia di Palermo, effettuò una serie di scambi con altre università e Musei italiani, per cui oggi parte del materiale proveniente dalla Grotta dei Puntali è conosciuto e custodito in molti Musei italiani come quelli di Padova, Ferrara o Firenze. Gli ultimi scavi di cui si ha notizia certa nel 1977 eseguiti da un’èquipe del Museo di Paleontologia dell’Università di Roma. Il materiale recuperato fa oggi parte della corposa collezione già esistente al Museo di Palermo nella quale rientra anche la donazione dei reperti recuperati dall’appassionato raccoglitore Rolando Laganà.

Su Puntali e sulle altre grotte della zona c’è stata particolare attenzione anche da parte di viaggiatori stranieri. Carlo Castone della Torre di Rezzonico in merito si sofferma affermando che “Poco lungi da qui s’aprono alcune caverne, dove, al riferire del credulo Fazello, si rinvennero grandi ossa di giganti, che furono senza fallo vertebre, cossendici e coste e mandibole d’enormi cetacei, che, per quelle degli uomini si sbagliarono dagli imperiti osservatori. Io poi reco fermissima opinione che fra le favole audaci si debbano rilegare le meravigliose narrazioni del corpo d’Erice, che nel monte da lui denominato rinvennero nel 1342 i pastori nello scavare le fondamenta per certo tugurio, e l’altro gigante scopertosi nel monte Grifone in amplissima grotta da me visitata, e quanto agglomera il Fazello nel capo 6 del primo libro a sostenere l’ormai fallita opinione de’ giganti abitatori primissimi della Sicilia. Il chiarissimo D. Gaetano d’Ancona recentemente ha dissipate con poche pagine siffatte dicerie e portenti, che gli avoli nostri ammisero per veridica storia, ingannati dalle apparenze e molto più da fallacissimi racconti. Non v’ha dubbio che uomini di straordinaria statura esistono tuttavia: ed io stesso vidi lo smisurato Gigli ed alcun altro patagone; ma popoli interi di venti cubiti giammai non apparvero sulla terra, e gli stessi Patagoni a soli 8 piedi al più giungono nell’estrema America meridionale, se fede pur meritano i viaggiatori che da sì lontane parti a noi ritornarono e cui sì facile è il mentire senza essere per lungo spazio contraddetti da alcuno. Perciò non mi curai d’entrare carpone in quegli antri, e, persuaso che le sole reliquie di qualche marino mostro per avventura vi avrei disseppellite, ripresi la strada di Palermo”.

Ora la credenza in una Sicilia abitata in passato da una stirpe di giganti si riallacciava a vari poeti e storici, da Omero a Silio Italico. In età moderna, sostiene Salvo Di Matteo “per primi l’avevano ripresa l’Arezzo e, con maggiore autorità, il Fazello, suggestionato dal rinvenimento ai suoi tempi, nel 1547, nella grotta di San Ciro, a piè del monte Grifone presso Palermo, di grandi resti osteo. fossili attribuiti appunto ai mitici progenitori, in realtà appartenenti a mammiferi del quaternario. Sullo stesso fronte si schierò, e si mantenne compatta fino al primo Ottocento, l’intera cultura del tempo (Francesco Maurolico, Giuseppe Carnevale, Giuseppe Buonfiglio, Mariano Valguarnera, Vincenzo Di Giovanni, Filippo Cluverio, Vincenzo Auria, Francesco Ambrogio Maja, Francesco Baronio, Agostino Inveges, Antonino Mongitore, Vito Amico, il Villabianca ed altri ancora), nella persuasione che dall’affermazione d’una primogenitura eroica e straordinaria, quale poteva essere per l’appunto quella di un popolo di razza gigantesca, avrebbe tratto arricchimento il civico prestigio e si sarebbe rinsanguato l’onor della Sicilia”. Soltanto nel primo trentennio dell’Ottocento la verità sarà definitivamente ristabilita con Antonino Bernardi Bivona e Domenico Scinà

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