"Rosalia la più bella", mostra di pittura collettiva in Cattedrale
E' stata inaugurata il 9 luglio scorso in Cattedrale a Palermo la mostra collettiva di pittura "Rosalia la più Bella". La mostra resterà aperta fino al 31 luglio 2015.
La più antica immagine di Santa Rosalia che io conosca risale al XIII secolo ed è conservata al museo Diocesano di Palermo. Si tratta di un'icona di scuola sicula-bizantina proveniente dalla chiesa della Martorana del capoluogo siciliano che ritrae la santa (così recita la scritta al suo lato) insieme a Sant'Oliva, Santa Venera e Sant'Elia. Tale "inscrizione" appare alquanto insolita e stimola lo spettatore a porsi inevitabilmente delle domande, una fra tutte: ma Rosalia quando è divenuta Santa?
Seppur difatti il culto ufficiale della Santuzza sia stato autorizzato solo a partire dal 1625 e la chiesa proclamò Rosalia santa soltanto nel 1630, curiosamente non mancano testimonianze antecedenti a quella data, segno che tra la gente, anche di alto lignaggio, l'affezione per la giovane eremita era davvero importante. A testimonianza di ciò vi sono documenti che attestano l'edificazione di chiese a lei dedicate, inoltre, tra le opere pittoriche che ci sono pervenute vi sono alcune tavole risalenti al XIV e XV secolo conservate al museo Nazionale di Pisa.
Di fattura differente è la singolare rappresentazione della santa dipinta da Antonello da Messina (datata intorno al 1450) nella quale sono evidenti i rimandi alla cultura fiamminga, cultura alla quale Antonello era molto legato. Non dimentichiamo neanche la Santa Rosalia dipinta da Riccardo Quartararo all'inizio del XVI secolo e oggi conservata alla Galleria Regionale di Palazzo Abatellis a Palermo. Per incontrare però l'iconografia "tradizionale" della giovane eremita dobbiamo aspettare il 1600. Del 1624 difatti è il primo ritratto ufficiale voluto dal senato palermitano.
Da allora molti autori hanno rappresentato la Santa. Tra gli artisti che nel corso dei secoli si sono accostati alla sacra effige ricordiamo Antoon Van Dick, Pier Paolo Rubens, Mattia Preti, Luca Giordano, Vito D'Anna, Giuseppe Velasco etc. fino ad arrivare a Renato Guttuso. Nel tempo l'iconografia della santa è variata sia nel vestiario sia nell'ambientazione eppure una cosa è rimasta, un tratto distintivo che la rende riconoscibile: la corona di rose. Le opere che oggi sono esposte in cattedrale mostrano una Rosalia giovane e fiera a volte controcorrente ma sempre con l'immancabile richiamo alla rosa (tranne che nell'opera di Laura Natangelo, dal forte rimando rinascimentale, in cui la Santa si manifesta esclusivamente in virtù dell'identificazione della sagoma del Montepellegrino).
Appartengono a Daniela Marcianò, a Caterina Rao, a Kindia e a Tiziana Viola Massa le tele più provocatorie e provocanti in mostra. Giovani donne fatte di carne più che di spirito prorompono con la loro carica dalla superficie del quadro. Mentre in Kindia il teschio è divenuto un tatuaggio, il crocifisso un rosario ornamentale e la corona di rose una ghirlanda, in Caterina Rao la Santa sembra appartenere alla generazione degli anni Settanta, una figlia dei fiori pregna di vita in piena armonia col mondo. Per Daniela Marcianò, invece, ella è la polena che protegge la navigazione nel burrascoso mare dell'esistenza, è la purezza, la dea che diffonde il suo spirito nello spazio modificandolo e facendolo vibrare di energia linfatica.
Palpitante è la Rosalia di Tiziana Viola Massa. Ancora stordita da un amplesso amoroso/spirituale (come la Santa Teresa di Bernini) ella porta in/sul grembo il teschio (come se fosse gravida delle sofferenze che l'amore di Dio potrà arrecarle) e al petto la rosa (poiché quelle sofferenze altro non sono se non un atto d'amore). Più sofisticata è invece la Rosalia di Vanni Quadrio. I capelli acconciati, il teschio tra le mani e al dito la "fulgidissima gemma" un richiamo alla preghiera più nota dedicata alla Santa non scevro di una nota ironica. Le rose occupano un ruolo preponderante nel quadro di Naire Feo. La corona di rose aleggia sul Monte Pellegrino narrandoci di luoghi e simboli entrati prepotentemente nell'animo di ogni palermitano.
Il simbolo diviene parte principale anche nell'opera di Giovanni Gambino. La rosa ci narra di Rosalia del suo mare e di una tradizione che si rinnova da centinaia di anni. Lettere, rose e onde così come accade nell'opera di Pino Manzella. Una Rosalia ribelle e sicura di sé è la sua che attraversa la storia e la riscrive abbandonando la sua terra natia salvo poi ritornarci. In Alessio Lo Prete invece la rosa riprende la forma di corona, una corona che vibra di colore così come quel particolare sfuggente del suo volto. Lo sguardo non posa proteso verso il Paradiso in una promessa sottintesa. Una Rosalia atipica è quella di Aurelio Caruso, dai tratti somatici stranieri in una terra generosa ma impotente. Una Santa universale che non conosce regionalismi o nazionalità carica di drammi e morti e ingiustizie.
Rievocanti la tradizione invece appaiono le opere di Tanina Cuccia, Stella Febbraro e Maria Stella Zangara. Quest'ultima si riallaccia alle assunzioni in cielo tipiche dell'iconografia cattolica. Rosalia è innalzata dagli angeli ed inondata dalla luce divina. Il movimento ascendente si innesta nell'andamento tortile e avvolgente dello spirito santo. Stella Febbraro riecheggia l'iconografia classica della Santa che la vede con il giglio, il teschio e la corona di Rose così come accade nell'opera di Tanina Cuccia eppure sono opere profondamente differenti, non solo per i periodi presi a modello ma soprattutto per l'approccio alla materia sacra. Mentre l'opera della Febbraro, difatti, sembra una rappresentazione scenica in cui l'immagine antica viene modernizzata e resa teatrale, quella della Cuccia invece risponde ad una spiritualità meno ostentata, più composta e meno artefatta in cui la Santa sembra acquisire anche delle caratteristiche orientali. Un altro aspetto che è stato affrontato dagli artisti è quello tra Santa Rosalia e la sua città .
Alessandro Bronzini, Giuseppe Gargano, Angelo Denaro e Anna Balsamo hanno voluto sottolineare questo legame molto forte che lega la gente alla sua Santa, anzi alla sua Santuzza, come sembra suggerirci Anna Balsamo con la sua opera che richiama alla mente la freschezza di certi ex voto così come allo stesso modo fa Giuseppe Gargano. Santa Patrona è invece la Rosalia Settecentesca di Bronzini che domina la città intera dal suo monte, ammantata da un velo azzurro che rende Montepellegrino quasi un'isola. Di Palermo ci parla anche il dipinto di Angelo Denaro, dei suoi monumenti, dei saraceni di Porta Nuova e ancora i simboli di quell'immagine sacra che tanto cara è alla gente.
Un'immagine differente è invece quella offertaci da Sebastiano Caracozzo. La sua Rosalia non ha nemmeno uno dei simboli citati finora, solo qualche fiore indistinto. La sua eremita è "preziosa", intessuta di quella nobiltà terrena di cui si spogliò per abbracciare quella spirituale. Di tutt'altro genere è la Santuzza di Antonella Affronti. In lei c'è un modo affettuoso di trattare la Santa. Sembra quasi una ragazzina ricoperta d'acqua, la stessa acqua che trasuda dalle pareti della sua grotta in cui angeli rocciosi la vegliano e la confortano nel suo lungo eremitaggio. Lo squarcio della luce divina investe il modo circostante, i suoi resti. Enzo D'Alessandro fa affiorare dalla superficie pittorica e materica l'immagine della Santa donandole una nuova epifania. Una mostra complessa e varia è questa che offre al visitatore numerosi spunti di riflessione.