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Cronaca Zen

Giallo su sparatoria allo Zen, gli agenti arrestati insistono: "Siamo stati colpiti"

Davanti al gip Maria Pino hanno confermato la versione fornita dopo l'accaduto. Per l'avvocato Nino Zanghì la perizia del consulente nominato dal pm non avrebbe valore scientifico: "Accursarli di avere inventato tutto è una follia"

Durante l’interrogatorio hanno confermato la loro versione iniziale, sostenendo di essere stati colpiti da un malvivente che si trovava a bordo di un’auto che zigzagava nei pressi della rotonda di via Lanza di Scalea. L’ispettore capo Francesco Elia e l’assistente capo Alessandra Salamone - accusati di falso, calunnia, simulazione di reato, procurato allarme e danneggiamento per la sparatoria avvenuta allo Zen nel marzo 2015 - hanno continuato a sostenere di fronte al gip Maria Pino di essersi trovati nel mirino di Roberto Milankovic (23 anni), un italiano di etnia rom con precedenti per piccoli reati che avrebbe sparato, trovandosi alla guida di un’auto rubata, dopo essersi sentito braccato. "Respingiamo nella maniera più categorica qualunque accusa. Ci sono delle incongruenze? Chi riuscirebbe - spiega l’avvocato dei due, Nino Zanghì - a essere lucido e riferire dettagli precisi dopo un conflitto a fuoco?".

La vicenda, che risale a un piovoso pomeriggio di marzo 2015, ha inizio in via Scordia, dove viene rintracciato il mezzo rubato. I due ispettori sostengono di aver seguito la Hyundai Atos, che risultava essere stata utilizzata per vari colpi, fino in via Rocky Marciano. In quella strada il fuggitivo, che secondo i due poliziotti non era da solo in auto, sarebbe sceso sparando con una pistola e fuggendo nuovamente. Il proiettile, stando sempre alla loro versione dei fatti, sarebbe stato sparato da più di 20 metri. Una circostanza non confermata da un consulente nominato dal pm Maurizio Bonaccorso, che coordina le indagini insieme al procuratore capo Francesco Lo Voi e all'aggiunto Dino petralia, che avrebbe rilevato come il colpo sia stato esploso a circa 7 metri dalla volante di polizia. “Questa consulenza - continua l’avvocato - per me non ha alcun valore scientifico. Tale Glauco Angioletti risulta sul sito della Soprintendenza Archeologia dell’Abbruzzo quale funzionario archeologo. L’unico rapporto che avrebbe con le armi riguarda un parere favorevole e relativo a dei fucili Zastava M76, poi sequestrati dalla Procura di Brescia perché consentivano di sparare a raffica".

Dopo aver lanciato l’allarme, dalla centrale radio hanno inviato numerose volanti per inseguire in malvivente in fuga. Dopo averlo rintracciato e tallonato, la folle corsa si è conclusa in via Filippo Di Giovanni, dove Milankovic è sceso dall’auto per tentare di arrampicarsi sul muro di una palazzina. Lì, come raccontato da un testimone, sarebbero stati esplosi diversi colpi d’arma da fuoco che non hanno raggiunto il giovane italiano di etnia rom, che per quel tentato omicidio ha passato oltre 50 giorni in carcere. “I miei assistiti - aggiunge ancora l’avvocato Zanghì - non hanno riconosciuto Milankovic quale soggetto che aveva aperto il fuoco contro di loro. Chissà come mai quell’auto, che era stata rubata circa tre mesi prima, è stata trovata giusto quel giorno. E' stata una circostanza inventata? Non credo, e infatti la Hyundai Atos era lì, ma è anche possibile che sia stata passata di malvivente in malvivente, dato risulta essere stata utilizzata per diversi scopi criminosi".

Se venisse confermato che si sia trattata di una messinscena, per quale ragione lo avrebbero fatto? Secondo fonti non ufficiali, dal momento che l’ispettore capo era rimasto ferito e sarebbe stato considerato una "vittima del dovere", avrebbe potuto aiutare il figlio a entrare in polizia. "Siamo alla follia - spiega l’avvocato Zanghì - se pensiamo che possano aver fatto una cosa del genere. L’ispettore Elia ha decine di encomi solenni. C’è un poliziotto ferito e sotto il cofano dell’auto è stato trovato un frammento di una calibro 38. E infatti potrebbe essere stata una scheggia a colpirlo e non direttamente il proiettile. Diversamente cosa avrebbe fatto l’ispettore Elia? Si sarebbe sparato da solo? L’accusa si regge sul nulla, sono solo congetture di un processo fatto a mezzo stampa. I miei assistiti - conclude Zanghì - all’epoca dei fatti sono stati ascoltati per oltre 12 ore dal pubblico ministero. Non si sono sottratti a niente. Non capisco la necessita di applicare la misura cautelare a più di un anno dall’accaduto”.

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