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Morta a 32 anni al Cervello, ospedale condannato a risarcire: "Medici responsabili"

Lo ha deciso il giudice, che ha disposto un risarcimento di 850 mila euro per i familiari. La vicenda risale al 2012: Maria Grazia Li Vigni, nonostante 3 ricoveri e varie consulenze specialistiche, è stata rimandata a casa ed è deceduta 10 giorni dopo

Condannati a un risarcimento danni da 850 mila euro i medici dell’ospedale Cervello che causarono la morte di Maria Grazia Li Vigni. Così ha deciso il giudice della terza sezione civile del tribunale di Palermo, Giuseppe Rini, per i sanitari che si occuparono della donna deceduta a 32 anni il 6 gennaio 2012. Giorni dopo un aborto, alla 33esima settimana, si recò al pronto soccorso del Cervello accusando un dolore all’emitorace sinistro e per tre volte venne sottoposta ad accertamenti diagnostici e dimessa. Respinta la richiesta di risarcimento nei confronti di una dottoressa, ovvero la prima che la prese in cura e la dispose di tenerla in osservazione per un’intera notte.

La 32enne venne sottoposta a ecografia, radiografia, tac e dopo una consulenza cardiologica e due pneumologiche, era stata rispedita a casa con una diagnosi di “addensamento polmonare sinistro”. Appena dieci giorni dopo, però, si è spenta nella sua abitazione. La sua morte per trombo-embolia, come accertato dall’autopsia effettuata sul corpo della donna, ha dato il via a un processo per un presunto caso di malasanità che ha portato al rinvio a giudizio per omicidio colposo di quattro medici, uno dei quali ha chiesto di essere processato con il rito abbreviato. Secondo il giudice "la sussistenza di una responsabilità dei sanitari in relazione alla morte della Li Vigni - si legge nella sentenza - emerge inequivocabilmente dalle risultanze della consulenza medico-legale espletata in corso di causa".

giulio drago-2Rispetto all’ultimo accesso al pronto soccorso, il 26 dicembre 2011, il consulente tecnico d’ufficio ha sostenuto che vi fossero "elementi abbastanza significativi che avrebbero dovuto indirizzare quantomeno verso approfondimenti su una possibile tromboembolia polmonare, quali in particolare l’interessamento pleurico e il netto rialzo di D-dimero, che venne interpretato dal cardiologo esclusivamente come un dato legato alla recente gravidanza. Risulta sorprendente che nessuno dei diversi sanitari che ha visitato la signora - prosegue il Ctu - abbia preso in considerazione l’ipotesi di fatti trombo-embolici che, considerata la storia clinica della paziente, reduce da recente parto cesareo per estrazione di feto morto, era assolutamente plausibile". (Nella foto Giulio Drago, legale della famiglia Li Vigni)

Inutili i tentativi da parte delle varie compagnie assicurative di sollevare argomentazioni che sono poi risultate prive di fondamento con l’obiettivo di paralizzare gli effetti delle coperture. Le maggiori responsabilità sarebbero da attribuire agli pneumologi e al cardiologo "in quanto avrebbero dovuto considerare con ancor maggiore attenzione, in virtù delle loro conoscenze specialistiche, l’ipotesi di tromboembolia polmonare poi accertata post- mortem, che risultava del tutto congrua rispetto alla storia clinica e ai dati strumentali e laboratoristici a loro disposizione". Sulla scorta di queste considerazioni, a fronte di una richiesta da 15 milioni di euro, sono stati riconosciuti oltre 300 mila euro alla figlia, che all’epoca aveva 5 anni, 293 mila al marito e 245 mila al padre.

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