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Cronaca

Trattativa Stato-mafia, condannati Mori, De Donno e Dell'Utri: assolto Mancino

Politici, boss mafiosi e militari dell'Arma erano accusati di avere stretto un patto per fare cessare gli attentati e le stragi degli anni '90. Condanna anche per Bagarella. Assolto l'ex ministro, accusato di falsa testimonianza: "Io, vittima di un sistema"

Condanna a pene comprese tra 8 e 28 anni di carcere per gli ex vertici del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, l'ex senatore Dell'Utri, Massimo Ciancimino e i boss Bagarella e Cinà. Assoluzione "perché il fatto non sussiste" per l'ex ministro Nicola Mancino. Così ha deciso il collegio della corte d'assise presieduto da Alfredo Montalto (giudice a latere Stefania Brambille) per il processo sulla cosiddetta "trattativa Stato-mafia".  

Mori e Subranni devono scontare 12 anni per minaccia a corpo politico dello Stato. Dodici anni, per lo stesso reato, sono stati inflitti a Dell'Utri. Ventotto anni, sempre per minaccia a corpo politico dello Stato, a Leoluca Bagarella. Per lo stesso reato dovrà scontare 12 anni il bosso Antonino Cinà. L'ex ufficiale del Ros Giuseppe De Donno, per le stesse imputazioni, ha avuto 8 anni. Massimo Ciancimino, supertestimone del processo, è stato condannato per calunnia e assolto dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Prescrizione per il pentito Giovanni Brusca.

Mancino: "Io vittima di un 'teorema'"

Mori, Subranni, De Donno e Dell'Utri sono anche stati dichiarati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici. I 4 imputati, insieme ai boss Nino Cinà e Leoluca Bagarella, anche loro condannati per il medesimo reato, dovranno inoltre risarcire 10 milioni alla presidenza del Consiglio costituita parte civile. I danni per le altre parti civili, come la Regione Siciliana, alcune associazioni antimafia e il Comune di Palermo, saranno liquidati separatamente. Massimo Ciancimino, imputato al processo per calunnia all'ex capo della Polizia De Gennaro è stato condannato a risarcire i danni alla persona offesa. Danni che verranno liquidati dal giudice civile.

Presenti alla lettura della sentenza, tra gli altri, i pm Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia, Francesco del Bene e Nino Di Matteo. Assenti Mario Mori e Nicola Mancino: quest'ultimo lunedì scorso aveva rilasciato dichiarazioni spontanee, prima che la Corte si ritirasse in camera di consiglio.

Le reazioni

Applausi e urla di incitamento ai magistrati sono arrivati dal pubblico presente nell'aula bunker del Pagliarelli alla lettura della sentenza. Il pm Nino Di Matteo, uno dei "padri" del processo, ha parlato di "sentenza storica". "Che la trattativa ci fosse stata - ha detto - non occorreva che lo dicesse questa sentenza. Ciò che emerge oggi e che viene sancito è che pezzi dello Stato si sono fatti tramite delle richieste della mafia. Mentre saltavano in aria giudici, secondo la sentenza qualcuno nello Stato aiutava Cosa nostra a cercare di ottenere i risultati che Riina e gli altri boss chiedevano". Secondo Di Matteo: "La sentenza dice che Dell'Utri ha fatto da cinghia di trasmissione tra le richieste di Cosa nostra e l'allora governo Berlusconi che si era da poco insediato. La corte ritiene provato questo. Il verdetto dice che il rapporto non si ferma al Berlusconi imprenditore, ma arriva al Berlusconi politico".

Pm dedicano sentenza a Falcone e Borsellino

"Dobbiamo capire questa sentenza che è inaspettata e in controtendenza con le assoluzioni di Mannino e Mori", ha detto l'avvocato Giuseppe Di Peri che ha difeso l'ex senatore Marcello Dell'Utri. "C'è un periodo per il quale Dell'Utri è stato assolto che sarebbe quello precedente al governo Berlusconi, mentre per l'altro periodo ha riportato una condanna estremamente pesante di 12 anni - ha proseguito - E' stato accolta la richiesta della procura. Ovviamente è una sentenza che impugneremo". 

"Dopo cinque anni finalmente si scrive una pagina di verità e giustizia su uno dei periodi più oscuri della nostra Repubblica. La sentenza conferma che la trattativa c'è stata, un risultato importante nell'accertamento di primo grado. Il nostro pensiero è per  tanti familiari delle vittime innocenti delle mafie consapevoli che la sentenza certamente non ripaga le loro ferite e il loro dolore. Questa sentenza invita tutti a continuare a impegnarci sempre di più con corresponsabilità e maggiore consapevolezza per liberare il nostro paese dalle mafie e dalla corruzione". Così l'associazione "Libera", che si è costituita parte civile nel processo, commenta la sentenza.

Orlando: "Condannato un passato che non deve più tornare"

Lo Stato che si auto processa

I giudici erano entrati in camera di consiglio lunedì scorso, dopo quasi cinque anni di lavori. Il dibattimento si è aperto nel 2013, circa 220 le udienze celebrate e 200 i testimoni sentiti. Alla sbarra politici e carabinieri, accusati di avere stretto un patto con Cosa nostra con lo scopo di fare cessare gli attentati e le stragi degli anni '90 per indurre lo Stato a piegarsi alle richieste dei padrini.

Imputati i boss mafiosi Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Antonino Cinà (Totò Riina è morto a novembre), gli ex alti ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno; Massimo Ciancimino, l'ex senatore di FI Marcello Dell'Utri e l'ex ministro Mancino. Quest'ultimo era accusato di falsa testimonianza, Ciancimino di concorso esterno in associazione mafiosa e calunnia nei confronti dell'ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Tutti gli altri erano accusati di violenza a corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato.

"Come in un puzzle abbiamo messo insieme le tessere. La singola tessera - aveva detto i pm Vittorio Teresi - diventa importante e fondamentale solo se si incastra perfettamente nel quadro generale. Siamo convinti che le singole tessere, a partire dagli anni Settanta e fino a metà anni '90, siano tutte parte di un unico, univoco quadro d'insieme che ha a che fare con l'atto di accusa che abbiamo proposto. Un quadro d'insieme a tinte fosche, con qualche tessera sporca di sangue, il sangue di quelle vittime delle stragi". Come quella di Capaci, "consumata per vendetta e per fermare la grande evoluzione normativa impressa da Giovanni Falcone. Quella fu l'ultima strage della prima Repubblica", secondo la tesi della Procura, perchè "i fatti poi si sono evoluti ma Paolo Borsellino era visto come un ostacolo al cambiamento che si voleva e si pensava nel momento in cui si avvia la trattativa. Via D'Amelio è la prima strage della seconda Repubblica".

Le stragi di Mafia del 1990

Data Attentato Luogo Vittime
12 marzo 1992 Omicidio di Salvo Lima Mondello (Palermo) Salvo Lima
23 maggio 1992 Strage di Capaci Capaci (PA) 5 (tra cui Giovanni Falcone)
19 luglio 1992 Strage di via D'Amelio Palermo 6 (tra cui Paolo Borsellino)
17 settembre 1992 Omicidio di Ignazio Salvo Santa Flavia (PA) Ignazio Salvo
14 maggio 1993 Fallito attentato di via Fauro Roma Nessuna vittima
27 maggio 1993 Strage di via dei Georgofili Firenze 5
27 luglio 1993 Strage di via Palestro Milano 5
28 luglio 1993 Autobomba a San Giovanni in Laterano Roma Nessuna vittima
28 luglio 1993 Autobomba a San Giorgio in Velabro Roma Nessuna vittima
31 ottobre 1993 Fallito attentato allo Stadio Olimpico Roma Nessuna vittima
14 aprile 1994 Fallito attentato a Totuccio Contorno Formello (Roma) Nessuna vittima

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