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Cronaca Brancaccio

Strangolato e sciolto nell'acido nel '95, "Giannuzzo il cantante" da oggi è ufficialmente morto

E' passato un quarto di secolo dall'uccisione di Antonino Vallecchia, famoso per i suoi concerti di piazza tra Brancaccio e Villabate, e le condanne per l'omicidio sono definitive da quasi 20 anni, tuttavia finora era uno scomparso. Adesso il tribunale ne ha dichiarato la morte presunta. Eliminato dopo un giro in Ferrari

Per il suo omicidio, avvenuto il 27 febbraio del 1995, le condanne all'ergastolo sono definitive ormai da anni, eppure soltanto adesso - a un quarto di secolo di distanza - per lo Stato, Antonino Vallecchia, conosciuto come "Giannuzzo il cantante", piccola celebrità nel mondo della musica neomelodica, è ufficialmente morto. La vittima aveva 43 anni quando, secondo quanto stabilito dai giudici, era stato attirato in un tranello e condotto nella camera della morte di via Messina Montagne, strangolato e sciolto nell'acido. I suoi resti non sono mai stati ritrovati e fino a ieri Vallecchia era formalmente soltanto uno scomparso. 

Il tranello: un giro in Ferrari

Per l'omicidio - con sentenza diventata definitiva addirittura nel 2001 - sono stati condannati i boss Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro, Francesco Di Fresco, Francesco Giuliano, nonché gli ormai collaboratori di giustizia Gaspare Spatuzza e Pietro Romeo. E' stato proprio quest'ultimo a fornire molti elementi alla Procura per ricostruire il delitto. Secondo la sua versione, Vallecchia - che era noto a Brancaccio e Villabate per i suoi concerti di piazza - avrebbe fatto delle estorsioni senza autorizzazione da parte dei vertici di Cosa nostra. Romeo racconta di aver sentito Vallecchia parlare di questo tipo di affare da un telefono pubblico. In base alla sentenza, i boss avrebbero quindi deciso di punirlo. In particolare sarebbe stato Di Fresco, il mafioso con la passione per le Ferrari e titolare di una pompa di benzina a tendere la trappola a "Giannuzzo il cantante", dicendogli che sarebbe arrivata una partita di benzina rubata ad un prezzo molto conveniente. Così lo avrebbe fatto salire nella sua Ferrari e poi - secondo il pentito Romeo - lo avrebbe portato dritto alla camera della morte di via Messina Montagne, dove Vallechia era stato eliminato.

Le condanne e il boss latitante

I boss furono condannati per l'omicidio nel 1999, nell'ambito dello storico processo "Bagarella+66", sentenza confermata in appello nel 2000 e diventata definitiva poco dopo. Di Fresco in quel frangente era latitante, venne catturato soltanto nel 2010, mentre si nascondeva tranquillamente in un lussuoso appartamento di viale Croce Rossa, vicino all'ospedale Villa Sofia. Nella casa era stato ricavato un minuscolo sgabuzzino, dietro ad un mobile della cucina, dove Di Fresco si sarebbe nascosto in caso di "visite" da parte delle forze dell'ordine. Fino al 7 ottobre di 10 anni fa, quando il boss fu arrestato dalla squadra mobile.

Il processo di revisione

Di Fresco, con l'assistenza degli avvocati Salvatore Petronio e Valerio Vianello, negli anni scorsi aveva avviato un processo di revisione, perché alcuni elementi avrebbero potuto scagionarlo dall'omicidio di Vallecchia. In particolare c'era la testimoninanza di un suo cugino vigile urbano, secondo cui Di Fresco avrebbe trascorso con lui quella mattina del 27 febbraio 1995 in cui la vittima sparì. Nello specifico, in Ferrari, i due sarebbero andati a versare degli assegni alla centrale dell'Api per pagare del carburante (e vi sarebbero proprio gli assegni a dimostrarlo) e poi sarebbero andati a fare la convergenza alla Ferrari, cambiando anche una gomma (la prova sarebbe uno scontrino rilasciato in quella circostanza). Il processo di revisione ha avuto un percorso travagliato: a Caltanissetta fu bocciata l'istanza, ma la Cassazione diede ragione alla difesa e aveva annullato la sentenza con rinvio alla Corte d'Assise d'Appello di Catania. Anche in questo caso, però, i giudici ritennero valida la riscostruzione iniziale e confermarono la condanna di Di Fresco. Dopo un nuovo ricorso in Cassazione, che aveva nuovamente annullato il verdetto con rinvio stavolta a Messina. Alla fine, comunque, per il boss è rimasta la condanna all'ergastolo che sta scontando. Adesso è arrivata anche ufficialmente la dichiarazione di morte presunta della vittima da parte del tribunale.

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