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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Terrorismo, ricercatrice libica assolta perché "il like a un post non istiga"

Queste le motivazioni della sentenza emessa dalla corte d'appello lo scorso dicembre - e depositata ieri - che ha assolto Khadiga Shabbi, ribaltando il primo verdetto. Per i giudici dalle esternazioni della donna non è scaturito alcun pericolo

"Un semplice "like" a un'opinione altrui o a un post costituisce solo una manifestazione di assenso, una condivisione, e non ne aumenta la pericolosità". Queste le motivazioni della sentenza emessa dalla corte d'assise d'appello dello scorso che ha assolto Khadiga Shabbi, la ricercatrice universitaria libica accusata di istigazione al terrorismo. L'inchiesta sulla Shabbi prese il via da alcune segnalazioni. La polizia cominciò dal web denunciando una intensa attività di propaganda svolta dalla ricercatrice in favore di una serie di organizzazioni terroristiche islamiche come Ansar Al Sharia Libya, tra le maggiori oppositrici del governo di Tobruk, e del suo leader Ben Hamid Wissam. Interessatissima alle vicende politiche del suo Paese, Shabbi avrebbe visitato le pagine Facebook di diversi gruppi legati all'estremismo islamico, condiviso sul suo profilo facebook materiale di propaganda di organizzazioni terroristiche.

Arrestata nel dicembre del 2015, la donna era stata condannata a un anno e otto mesi di reclusione con il rito abbreviato (con pena sospesa). Dopo la sentenza, il prefetto aveva emesso a suo carico un decreto di espulsione dal territorio nazionale. La donna era stata trasferita nel Cie di Ponte Galeria a Roma e aveva chiesto e ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiata perchè nel suo Paese c'è la guerra civile. Provvedimento poi revocato con un nuovo ordine di allontanamento dall'Italia. Il gup l'aveva descritta come un "soggetto pericoloso e simpatizzante del fenomeno jihadistico". Una valutazione non condivisa dalla corte d'assise d'appello presieduta da Angelo Pellino, che ha assolto la 47enne libica "perché il fatto non sussiste".

Per l'accusa, la professione di ricercatrice universitaria era solo una "copertura". In realtà avrebbe mantenuto contatti con esponenti di organizzazioni terroristiche islamiche e foreign fighters attraverso social network. Per questo i suoi pc erano stati passati al setaccio e il materiale informatico - poi restituitole - sequestrato.

Nella motivazione della sentenza, depositata ieri, i giudici bacchettano il primo verdetto che si sarebbe limitato a copiare l'informativa della Digos che fece le indagini senza apportare alcuna mediazione critica. Per la corte, Shabbi era uno dei tenti utenti anonimi del web senza alcuna 'autorevolezza' e dalle sue esternazioni non scaturiva alcun pericolo di commissione di reati terroristici.

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