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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

"Hanno ammazzato a uno in viale Campania": la telefonata al collega di Mario Francese

E' un racconto da brividi quello di Sergio Raimondi. Il cronista ha ripercorso i momenti di quella tragica sera, a distanza di 40 anni esatti: "Suo figlio Fabio chiamò al Giornale, capii subito tutto"

L'ultimo saluto, la telefonata, il presentimento, le lacrime. E' un racconto da brividi quello di Sergio Raimondi, giornalista e collega di Mario Francese, ucciso dalla mafia il 26 gennaio del 1979 sotto la sua abitazione, che ha ripercorso i momenti di quella tragica sera. Il ricordo è stato pubblicato sul sito dell'agenzia Adnkronos. E inizia così: "Quel pomeriggio ci incrociammo appena sulla soglia del nostro stanzone, quella della 'nera' e della 'giudiziaria'. Non feci neppure in tempo a sentire il suo consueto saluto, rivolto a tutti. Uscivo quasi correndo. 'Unni vai cu sta primura? (dove vai con questa premura? ndr)' mi chiese. 'Spararu (Hanno sparato ndr) a uno ma non si capisce niente' gli risposi scappando via".

Sergio Raimondi continua: "Fu l’ultima volta che vidi Mario ed anche l’ultima cosa che in quei secondi, e per i tanti anni a venire, avrei mai potuto pensare che accadesse. Correvo verso via del Giardino dove in un negozio, piccolo ma elegante, avevano sparato al titolare. Un agguato strano, non lo uccisero perché non volevano ucciderlo. Lo gambizzarono e sembrò a tutti molto strana quella modalità decisamente anomala a Palermo: uno stile che ricalcava più quello delle Br che non della mafia - ricorda Raimondi - Passai il pomeriggio e le prime ore della sera ad arrovellarmi insieme con gli investigatori a capire i motivi dell’agguato, leggere fascicoli assai scarni, cercare di parlare con il ferito in ospedale".

"Alla fine avevo abbastanza materiale per un pezzo soddisfacente e decisi che era tempo di rientrare al Giornale: cominciava a farsi tardi anche per quei tempi, erano circa le nove di sera", ricorda. "Ebbi il tempo di entrare nella 'nostra' stanza, era deserta. Lui, Mario, era già andato via. Squillò il suo telefono, io ero ancora in piedi e stavo riponendo il cappotto sull’appendipanni. A volte capitava di rispondere al telefono di un collega che non c’era - racconta ancora il giornalista - Fissai quel telefono grigio con il disco sui numeri, indeciso se alzare la cornetta. Per sedermi al mio tavolo dovevo passare accanto al suo e allora decisi di rispondere. 'La cronaca, chi parla', dissi. 'Buonasera, sono Fabio Francese, c’è mio padre?'. 'Oh Fabio, ciao, no è andato via, io sono tornato adesso e non l’ho trovato, starà venendo a casa', gli dissi. E aggiunsi ''Ti serve qualcosa?'. 'Volevo dirgli che hanno sparato a uno qui sotto cosa nostra', mi disse Fabio. Rimasi con la cornetta a mezz’aria mentre sentivo il gelo entrare in ogni parte del mio corpo. 'Va bene, - dissi a Fabio con un filo di voce – starà venendo, adesso avverto i capi. Grazie' . Ci salutammo, restai con la cornetta del telefono in mano, la posai lentamente, il cuore mi batteva forte, ero gelato e sudato".

"Ebbi appena il tempo di sedermi al mio tavolo, volevo telefonare per verificare la segnalazione di Fabio. Tutto esplose all’improvviso. Lino Rizzi, il direttore, sbucò aprendo come una furia la porta a vetri a due ante che immetteva nel corridoio dove si affacciavano i due stanzoni, della Regionale e della Cronaca - ricorda ancora Sergio Raimondi -. Con il suo vocione urlava frasi incomprensibili ma se ne capiva una: 'Hanno ammazzato Mario Francese', e lo ripetè urlando due, tre volte e poi sparì. E con lui sparimmo tutti. Io per primo. Capii che quel gelo che mi aveva attraversato e riempito era la premonizione, era aver capito: il fantasma della paura diventò in un attimo realtà della tragedia. Non capii più nulla, era come se l’onda d’urto di una bomba mi avesse investito in pieno. Caddi sulla prima sedia, cominciai a tremare, scoppiai a piangere in un pianto che sembrava non dovesse aver fine. Mario. Mario ammazzato per strada. Vivevo un incubo".

"Sarei dovuto scappare, correre, mettermi in macchina e raggiungere il più velocemente possibile viale Campania. Non ce la feci, ero paralizzato. Lo capì subito Marina - ricorda ancora Sergio Raimondi -. Marina Pino mi afferrò, mi strinse tra le braccia, mi accarezzò la testa e mi fece piangere, mentre piangeva anche lei. Impiegai del tempo a riprendermi, quanto non lo so e di certo non del tutto. Ma non c’era tempo, non c’era più tempo. Anche nei giornali, nei momenti più tragici, “the show must go on”. La radio collegata sulle frequenze di polizia e carabinieri gracchiava come impazzita, e oltre che di viale Campania, cominciava a parlare di due morti trovati in una stradaccia tra Villagrazia e Ciaculli. Non c’era più tempo per il dolore, il pianto, le emozioni e il cuore in tumulto. E nemmeno per lo choc. 'Raimondi vai', mi intimò il capocronista. E io andai, Raggiunsi quel posto sperduto. Pioveva, c’era fango e nel fango i corpi di due uomini. Il sospetto che potessero entrarci qualcosa con l’uccisione di Mario era inevitabile. Poi si rivelò infondato, ma in quel momento era vivo". "Come il tumulto che avevo dentro. Cercai come potevo di fare il mio lavoro. Ma quel sospetto ormai era diventata una bestia incuneata nella mia mente. E mi portò ad un gesto orribile, di cui non mi sarei mai pentito abbastanza, ancora oggi. Prima di andar via per andare alla Mobile, sputai addosso a quei cadaveri - racconta il giornalista - Sfogai la mia rabbia e il mio dolore con un gesto ignobile".

E conclude: "Tutto questo accadeva 40 anni fa esatti stasera. Una vita. Segnata anche da questo come e più di tanti altri momenti in cui mestiere e dolore si sono mescolati. 'Leggi bbono i carti e parra cca ggenti' (leggi bene le carte e parla con la gente ndr), mi aveva suggerito Mario qualche tempo prima. Una lezione di giornalismo in pochissime parole. Il riassunto breve della sua vita intensa, appassionata, onesta. Vissuta con una umiltà straordinaria". "Ancora oggi mi resta qualcosa di incompiuto: non aver potuto sentire per l’ultima volta scandire la filastrocca del suo saluto".

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