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Giovedì, 28 Marzo 2024
Mafia

Mafia, vino e affari in Salento: Totò Riina indagato dalla Procura di Lecce

Il nome del Capo dei capi spunta in un fascicolo dell'Antimafia per interessi in chiaroscuro in terra salentina, area sempre più ambita dalla criminalità organizzata per reinvestire profitti illeciti

Vini e mafia. Totò Riina finisce nel mirino della Procura antimafia di Lecce. Il capo dei capi è al centro di un’indagine su vini e mafia: è accusato di associazione per delinquere di stampo mafioso insieme ad altre tre persone. Una storia intricata, tra terreni, società, immobili e presunte complicità a cavallo tra le province di Lecce e Brindisi. L’indagine è condotta dalla Dia di Lecce. Il fascicolo è coordinato dal procuratore aggiunto Antonio De Donno. Fatta luce sui rapporti stretti dai vertici di Cosa Nostra con esponenti di spicco della frangia brindisina della Sacra corona unita. 

Gli investigatori - come riporta anche la Gazzetta del Mezzogiorno - si sono soffermati sulla realizzazione di un’azienda agricola e di un opificio industriale da destinarsi a casa vinicola nelle campagne tra le province di Lecce e Brindisi. Beni immobili stimati per un valore di 8 milioni di euro. Un affare in odor di mafia spalmato in una triangolazione tra società differenti, tutte con sede nel Palermitano: la ditta proprietaria dei terreni coltivati a vigneto, una seconda per la coltivazione e una terza che, avendo preso in affitto i terreni, si occupa di vinificazione delle uve e commercializzazione del vino prodotto.

I sospetti degli inquirenti si sono soffermati su un possibile interesse di Riina nel reinvestire i profitti illeciti in attività pulite grazie agli amministratori delle società a lui vicini utilizzati come "teste di legno". Personaggi contigui con gli ambienti mafiosi. Una tesi che troverebbe una sponda nelle dichiarazioni di alcuni pentiti che hanno squarciato il velo sui tanti segreti sulla mafia siciliana. I riscontri investigativi hanno consentito di appurare come l’azienda agricola abbia nominato a responsabile del personale dipendente dell’azienda un 49enne originario di Trepuzzi, ritenuto affiliato alla Sacra Corona Unita. L’uomo avrebbe rappresentato - secondo gli inquirenti - il trait d’union tra mafie siciliana e salentina.

Gli interessi della famiglia Riina, poi, sarebbero emersi anche per la concomitante presenza della figlia e del genero del boss di Corleone (che non risultano indagati) a San Pancrazio Salentino già otto anni prima. La donna avrebbe iniziato i lavori di ristrutturazione della masseria distante dal paese circa nove chilometri presentandosi alla gente del posto come la figlia di Totò Riina.

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