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Spatuzza rivela: ''Messina Denaro operato agli occhi e protetto a vista dai boss di Brancaccio"

L'intervento in un ospedale di Messina sotto false generalità. Tra prove processuali, dichiarazioni di pentiti e indizi degli investigatori, ecco tutti i padrini che hanno deciso di lasciare le loro "impronte": da Don Paolino Bontade a Binnu Provenzano

Ricoveri in ospedale, vacanze in villa al riparo da occhi indiscreti: per i boss palermitani la provincia di Messina è come un immenso Grand Hotel per alcuni e Casa di cura per altri, tutti uniti dal vincolo mafioso. Presenze a volte confermate da prove processuali, altre esposte dai collaboratori di giustizia in inchieste e aule giudiziarie, altre ancora frutto di piste seguite dagli investigatori. Dagli anni Settanta la Messina-Palermo non è solo un'autostrada ma un collegamento per riposi dorati. Non solo boss palermitani. Spunta anche Messina Denaro, protetto dai mafiosi di Brancaccio.

Matteo Messina Denaro 

Ultima in ordine di tempo, secondo le rivelazioni del collaboratore Gaspare Spatuzza, è quella della primula rossa della mafia Matteo Messina Denaro. Scrivono su stampalibera.it: "Il superlatitante Matteo Messina Denaro, capo indiscusso di Cosa Nostra trapanese, sarebbe stato operato in un ospedale di Messina sotto false generalità, protetto a vista dai reggenti della famiglia stragista di Brancaccio. La dirompente rivelazione è giunta all’ultima udienza del processo Borsellino quater contro gli autori della strage in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, in svolgimento presso la Corte d’Appello di Caltanissetta. Autore Gaspare Spatuzza, l’ex boss di Brancaccio responsabile dell’omicidio di Padre Pino Puglisi, che dopo essersi convertito in carcere alla fede cristiana è divenuto il collaboratore di giustizia più importante per far luce su alcuni dei misteri delle stragi di Capaci, via D’Amelio, Roma, Firenze e Milano e sul fallito attentato allo stadio Olimpico del 23 gennaio 2014". Messina Denaro è latitante da ben 26 anni e prima di lui altri padrini si erano serviti della provincia "babba".

E' un nuovo dettaglio quello che emerge dalle parole del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza: "So un particolare, in cui Matteo Messina Denaro ha subito un intervento agli occhi a Messina... In questa vicenda era coinvolto Nino Mangano... Messina Denaro all’epoca si andò a curare sotto il nome di Giorgio Pizzo, un uomo del nostro gruppo, della famiglia di Brancaccio. Andò a curarsi a Messina sotto il controllo di Nino Mangano...".

Don Paolino Bontade 

Don Paolino Bontade, il padre di Stefano, morì per problemi di salute (soffriva di diabete) all'ex ospedale Margherita il 25 febbraio 1974 e sarebbe stato accudito da Don Santo Sfameni. Don Paolino Bontate era a capo della potente famiglia di Santa Maria del Gesù a Palermo prima che a metà degli anni Sessanta il figlio Stefano rilevasse il potere paterno, quest'ultimo venne ucciso a Palermo nell'aprile 1981 dai corleonesi di Riina che scatenando una vera e propria "guerra" avrebbero fatto fuori tutti i rivali nell'ascesa assoluta a Cosa Nostra. A distanza di quarantacinque anni ci si chiede come mai uno dei padrini della mafia del dopoguerra fosse ricoverato a Messina e non a Palermo. 

Bernardo Provenzano

"Binnu u tratturi" prese il posto di Totò Riina alla guida di Cosa Nostra dopo l'arresto del capo dei capi nel gennaio 1993. Fu sempre al vertice dei corleonesi e venne arrestato soltanto nell'aprile 2006 dopo più di quarantanni di latitanza. Anche Provenzano non sembra aver disdegnato un passaggio nel Barcellonese.

Lorenzo Baldo, su antimafiaduemila.com, l'11 febbraio 2019 scriveva in relazione alla morte di Attilio Manca, l'urologo di Barcellona Pozzo di Gotto trovato senza vita nel 2004 nell'appartamento di Viterbo, la famiglia attende ancora giustizia mentre la procura di Viterbo ha archiviato il caso non trovando collegamenti con Provenzano:

"A chi mi ha confidato di conoscere dettagli importanti sulla morte di Attilio e poi non li ha riferiti ai magistrati chiedo solo di ripensarci. Glielo domando come una madre consapevole di non avere più tanto tempo. Ma se anche noi non ci saremo non importa. Non è mai troppo tardi per far emergere la verità. Quello che conta è restituire giustizia ad Attilio”. Non si è ancora spento l’eco delle parole di Angelina Manca: un appello che la madre di Attilio Manca ha rivolto alcuni giorni fa a chi a suo tempo le aveva raccontato dettagli importanti sulla morte del figlio, per poi tacerli all’autorità giudiziaria. Torna in mente la testimonianza di un ex investigatore del Messinese di cui si era venuti a conoscenza cinque anni fa grazie allo scrittore Luciano Mirone. Alla presentazione del suo libro “Un suicidio di mafia. La strana morte di Attilio Manca”, lo stesso Mirone aveva raccontato di aver conosciuto casualmente, durante la stesura del volume, un ex investigatore che aveva lavorato nella zona di Messina nel periodo in cui Attilio era stato trovato morto. “Questa persona - aveva spiegato lo scrittore - autorevole e affidabile, mi aveva detto esattamente che Attilio Manca era stato prelevato in elicottero e portato nella zona di Tonnarella, in una struttura privata che qualche medico locale aveva messo a disposizione, e lì aveva visitato Bernardo Provenzano”.

Nel suo intervento Luciano Mirone aveva evidenziato che secondo la testimonianza di quest’uomo, il “prelevamento” di Attilio Manca sarebbe avvenuto “prima dell’intervento chirurgico di Marsiglia (a cui si era sottoposto Bernardo Provenzano ad ottobre del 2003, ndr), quando cioè si doveva fare la diagnosi (al boss, ndr)”.“L’ex investigatore - aveva spiegato Mirone - era andato oltre, dicendomi che quando era morto Attilio Manca, il Ros dei carabinieri aveva fatto delle indagini e aveva scoperto che potevano esserci dei collegamenti tra la sua morte e la latitanza del capo di Cosa Nostra a Barcellona Pozzo di Gotto. Ad un certo punto era arrivato un diktat dall’alto: "Prego trasmettere immediatamente atti relativi alla morte di Attilio Manca e alla latitanza di Bernardo Provenzano". Una richiesta che poteva voler dire soltanto una cosa: o chiedono gli atti per depistare, oppure perché si vuole fare giustizia”. La conclusione dello scrittore era stata alquanto tranciante: “Due giorni dopo, non avendo ancora ricevuto nulla dal Ros, questo personaggio molto in alto aveva scritto nuovamente per ricevere gli atti ‘senza ulteriori indugi’. E senza ulteriori indugi questi atti erano stati trasmessi. Da quel momento le indagini sia sulla morte di Attilio che sulla latitanza di Provenzano a Barcellona Pozzo di Gotto si sono arenate”.

Gerlando Alberti Junior 

Latitante in provincia negli anni Ottanta Gerlando Alberti junior, in fuga dalla violenza dei corleonesi a Palermo, è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio di Graziella Campagna, la ragazza di Saponara ritrovata cadavere a Forte Campone nel dicembre del 1985. Alberti Junior, nipote di Gerlando Alberti, mafioso di rango di Cosa Nostra, sotto le mentite spoglie di “ingegnere Cannata”, nel 1985 era solito pranzare in ristoranti del comune di Falcone con imprenditori e commercianti di Villafranca Tirrena. Gli inquirenti rilevarono che nel complesso di Portorosa Alberti aveva locato una villa sin dalla primavera del 1985. Gerlando Alberti junior fissò il domicilio per un paio di mesi a Torre Faro per poi trasferirsi nel luglio 1989 a Falcone in un appartamento della centralissima via Nazionale dove venne arrestato.

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