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Mafia Tommaso Natale

Pizzo e droga nel clan di Tommaso Natale, chiesti due secoli di carcere per 16 persone

Tra gli imputati del processo nato dall'operazione della polizia che portava il nome del mandamento, ce ne sono anche due che sono stati nuovamente arrestati stamattina, Baldassare Migliore e Francesco Di Noto. Più di 16 anni di reclusione sono stati invocati per il ras dello spaccio allo Zen, Fabio Chianchiano

Proprio mentre stamattina il clan di Tommaso Natale è stato colpito da nuovi arresti, i sostituti procuratori Amelia Luise ed Alfredo Gagliardi hanno chiesto quasi due secoli di carcere per 16 affiliati allo stesso mandamento, nonché altri due (per i quali non è stata chiesta una condanna) che hanno ricevuto l’ordinanza di custodia cautelare legata al blitz “Teneo” dei carabinieri, ovvero Baldassare Migliore e Francesco Di Noto. La requisitoria si è tenuta davanti al gup Claudia Rosini - il processo si svolge con il rito abbreviato - e nasce dall’operazione della fine di marzo dell’anno scorso, denominata semplicemente “Tommaso Natale-San Lorenzo”.

La pena più pesante è stata invocata dai pubblici ministeri per Fabio Chianchiano, ritenuto uno dei ras della droga allo Zen, ovvero 16 anni e 8 mesi di reclusione a testa. Tredici anni e 4 mesi ciascuno è stata invece la richiesta per Tommaso Contino, Giuseppe Calvaruso, Salvatore Amato, Sandro Diele, Girolamo Taormina, Giuseppe Fricano, Salvatore D’Urso, e Giuseppe La Torre, 11 anni e 8 mesi per Giuseppe Messia, 10 anni per Francesco La Barbera, 9 anni e 4 mesi per il collaboratore di giustizia Silvio Guerrera, 8 anni e 10 mesi per Salvatore Verga, 8 anni per Vito Scarpitta e infine 4 anni a testa per Antonino Giambona e Vincenzo De Lisi. Per Migliore e Di Noto, alla luce del nuovo arresto, i pm non hanno chiesto la condanna e le loro posizioni saranno probabilmente stralciate.

Diversi degli imputati erano stati peraltro già coinvolti nel maxiblitz “Apocalisse”, messo a segno esattamente 6 anni fa dalla Procura. Nell’inchiesta “Tommaso Natale-San Lorenzo” della polizia avevano avuto un ruolo importante proprio le dichiarazioni del pentito Guerrera, ex reggente del mandamento. Gli inquirenti avevano così ricostruito gli affari del clan, tra pizzo e droga. 

Un “grande spacciatore, il numero uno allo Zen” e “volevamo diventasse il primo spacciatore ufficiale di tutta la nostra zona, l’unico fornitore proprio di tutto”, anche se era “un pochettino esaltato, un mezzo pazzo, un mezzo criminale” così aveva detto Guerrera di Chianchiano. Una specie di monopolista della droga che “aveva molti soldi disponibili, comprava, aveva la vendita di tre chili al mese”. E come aveva spiegato ancora il pentito “noi avevamo l’usufrutto di questa roba, mi doveva dare 2.500 euro al mese”, senza negare che lo Zen era “un far west, un macello, spacciano pure i bambini”.

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