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Omicidio Lia Pipitone, un pentito: "Uccisa per un tradimento, il padre approvò"

Secondo le rivelazioni del collaboratore Francesco Di Carlo la figlia del boss dell'Acquasanta sarebbe stata uccisa perchè non avrebbe voluto troncare una relazione extraconiugale. "Era nata per la libertà ed è morta per la sua libertà"

Altro che rapina finita male: Lia Pipitone, figlia del boss dell'Acquasanta Antonino Pipitone, sarebbe stata uccisa perché non avrebbe voluto troncare una relazione extraconiugale. “Era nata per la libertà ed è morta per la sua libertà”, così ha raccontato recentemente il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, i cui verbali sono stati depositati stamattina alla prima udienza del processo per l'omicidio della donna.

Lia Pipitone venne uccisa a settembre del 1983 e dopo un primo processo conclusosi con l'assoluzione definitiva di suo padre, ora sono a giudizio i boss Vincenzo Galatolo e Nino Madonia. “Mio fratello ­ - dice Di Carlo ­ - mi ha riferito che il padre di Lia, dinnanzi alla resistenza della figlia a cessare una relazione extraconiugale con un ragazzo, aveva deciso di punirla perché il capomandamento non voleva essere criticato per questa situazione incresciosa. In quel periodo il capomandamento di Resuttana, da cui dipendeva l’Acquasanta, era Ciccio Madonia che però non prendeva decisioni in quanto o malato o detenuto. Invero, il comando era assicurato da Nino Madonia e dopo l’arresto di questi dal fratello Salvatore”.

E aggiunge il pentito: “Secondo la  regola di Cosa nostra, Madonia ha convocato Nino Pipitone al quale ha comunicato la decisione di risolvere il problema eliminando la figlia. Circostanza a cui Pipitone non si è sottratto nel rispetto della mentalità di Cosa nostra che condivideva in pieno. Sempre secondo le regole di Cosa nostra ha convocato Galatolo, in quel periodo responsabile della famiglia era Vincenzo, al quale ha affidato l’esecuzione materiale dell’omicidio”.

Le parole di Di Carlo ­ che spiega che la rapina sarebbe stata solo una messinscena, visto che Lia Pipitone in quel momento era in una cabina telefonica e che nulla sarebbe stato fatto poi da suo  padre, con un ruolo di vertice in Cosa nostra, per vendicare la figlia – confermano quelle di altri collaboratori di giustizia ed anche le tesi della Procura. Per un vizio di notifica degli atti a Madonia, il processo è stato rinviato a ottobre. Il figlio e il marito di Lia Pipitone, Gero e Alessio Cordaro (difesi dall'avvocato Nino Caleca) e l'associazione “Millecolori onlus” (assistita dall'avvocato Roberto Riggio) hanno chiesto al gup di costituirsi parte civile. Il giudice deciderà alla prossima udienza.

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