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Rapinatore e killer mafioso dal destino segnato, la storia del boss Dainotti: "Uccidetelo"

Condannato all'ergastolo, era poi uscito dal carcere tra le polemiche. Nel 1991 la rapina miliardaria al banco dei pegni. Tre anni fa, dalle sbarre, fu programmato il suo delitto

La legge perdona, la mafia no. I colpi di pistola di stamattina sono sincronizzati con il passato. E le lancette di Cosa Nostra ci riportano indietro di 17 anni. Novembre 2000: Giuseppe Dainotti, 50 anni, è in carcere, condannato all’ergastolo. Alcuni tra i più noti collaboratori di giustizia vuotano il sacco e fanno il nome del boss ucciso stamattina in via D'Ossuna. I carabinieri inchiodano ancora una volta Dainotti e portano a galla una rapina "memorabile". Quella della notte del 13 agosto 1991, al banco dei pegni della Sicilcassa di via Calvi. In 7 entrano all'interno del caveau, saccheggiando oggetti preziosi di ogni tipo: collane, orecchini, bracciali e anelli.

Un bottino da record: 18 miliardi di lire. Finisce così l'oro dei poveri. Il colpo viene portato a termine da rapinatori professionisti, ritenuti vicini a Salvatore Cancemi, noto personaggio di spicco della famiglia di Porta Nuova. Dainotti, nato nel 1950 e factotum di Cancemi, ha il compito di custodire la refurtiva. Arriva poi l'ordine di fondere i gioielli e ricavarne lingotti, direttamente da Totò Riina: un regalo personale al capo dei capi.

LE IMMAGINI DAL LUOGO DEL DELITTO | VIDEO

Rapinatore e killer. Nel 2014 riaffiora la figura di Dainotti: dopo 16 anni tra le sbarre, prende corpo una scarcerazione shock (che diventa comunque effettiva solo nel 2016). Ma bisogna tornare ancora al 2000, anno chiave nella vicenda Dainotti. Il boss viene condannato con il rito abbreviato per episodi che fanno parte della guerra di mafia degli anni Ottanta, tra cui la lupara bianca di Antonino Rizzuto, scomparso a Palermo nel 1989. Su di lui pende un'altra condanna, quella relativa all'uccisione del capitano Mario D'Aleo (che aveva sostituito appena sostituito Emanuele Basile, ucciso tre anni prima sotto gli occhi della moglie e della figlia) insieme all'appuntato Giuseppe Bommarito e il carabiniere Pietro Morici. Dainotti venne arrestato nel 1998 e portato al Pagliarelli. Ma dalla Cassazione arriva la "grazia". E l'ergastolo viene cancellato. Dainotti saluta il carcere beneficiando della Legge Carotti. Entra in vigore infatti una possibilità ultragarantista: in parole povere chi sa di essere destinato all’ergastolo può optare per un rito abbreviato, evitando la corte d’assise e i tre gradi di giudizio, e beccarsi così 30 anni. Ed è per questo che Dainotti, da ergastolano, torna libero tra le polemiche. Ma il suo però è un destino segnato. Perché su di lui pendono progetti di morte

Omicidio alla Zisa, ucciso Giuseppe Dainotti

E' il 2014. Sono i giorni dell’operazione "Iago", quella che smantella il vertice del clan mafioso di Porta Nuova e stoppa sul nascere una pericolosa guerra tra esponenti di spicco dello stesso mandamento. E' uno schiaffo contro alcuni boss reduci della Cosa Nostra che fu, quella che si dedica alle estorsioni, alle ammazzatine. I capimandamento impartiscono ordini dal carcere tipo "lo dovete seppellire con la calce viva" mentre, ovviamente, vengono intercettati. Otto arresti, viene evitato un omicidio che era già scritto, quello di Dainotti. Il boss, che doveva essere a breve scarcerato, viene messo nel mirino. Perché secondo alcuni mafiosi, Dainotti era uno che "metteva tragedie" nei confronti delle persone e che sarebbe andato contro Giovanni Di Giacomo, raccontando cose non vere sul suo conto.

LE INTERCETTAZIONI - VIDEO

I carabinieri intercettano in carcere gli ordini impartiti da un detenuto di rango, proprio il boss Giovanni Di Giacomo, al fratello Giuseppe. Che però, è stato nel frattempo ucciso, qualche mese prima, nel marzo 2014 in via Eugenio l'Emiro. Sempre alla Zisa, come oggi. Temendo la vendetta della "famiglia" mafiosa della quale la vittima era il reggente, viene anticipata la retata. Gli inquirenti hanno le idee chiare: il "mandamento" di Porta Nuova si stava riorganizzando. 

I RETROSCENA: UNA GUERRA PER COMANDARE

La mafia palermitana cerca di fare quadrato. Ma c'è un vuoto. Ci si scanna per assumere il comando del "mandamento", dopo l'arresto del padrino Alessandro D'Ambrogio. Tra i delitti programmati c'è proprio quello di Dainotti. Un uomo che i Di Giacomo consideravano "in malafede", dunque, e che per questo doveva pagare con la vita. Dainotti è stato ucciso oggi, a tre anni di distanza da quel diktat. Il giorno prima del venticinquesimo anniversario della Strage di Capaci. 

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