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Successione di Riina, la Dia: "E' nata la mafia 2.0, tornano in scena i palermitani"

"Con la morte del boss corleonese si prospetta l'apertura di una nuova epoca": a stabilirlo è la relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia che è stata trasmessa alla Camera. L'accordo tra i capi più influenti, il vuoto di potere e l'omicidio Dainotti

"Si prospetta la formale apertura di una nuova epoca - quella della mafia 2.0. - sempre più al passo con i tempi, che confermerà definitivamente la strategia della sommersione e non dovrebbero profilarsi guerre di mafia per sancire la successione di Riina". A stabilirlo è la relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia (prima metà del 2017), trasmessa alla Camera. "Appare, infatti, superata per sempre l’epoca della mafia violenta, che ha ceduto il passo a metodologie volte a prediligere le azioni sottotraccia e gli affari, sovente realizzati attraverso sofisticati meccanismi collusivi e corruttivi", scrive la Dia.

Proprio in questa logica, potrebbe farsi spazio l’ipotesi di un accordo tra i capi più influenti, rivolto alla ricostituzione di una sorta di “cabina di regia”, simile ma diversa dalla Commissione provinciale (che non risulta essersi più riunita dopo l’arresto dei capi storici), intesa quale organismo unitario di vertice, con un prevedibile ritorno in scena dei “palermitani”. "Sicuramente è il momento delle scelte - spiega la Dia nella sua relazione -. Per troppi anni si è protratta una situazione di stallo, tradottasi nell’affidamento di responsabilità, anche rilevanti, a reggenti non sempre all’altezza, per leadership e carisma, di rendere pienamente operativo un organo di raccordo sovra familiare, indispensabile nella risoluzione dei conflitti e nella gestione delle emergenze di alto profilo. Reggenti che non poche volte hanno dovuto fare ricorso ai consigli di anziani uomini d’onore, chiamati a garantire il rispetto delle fondamentali regole interne". 

Allo stato attuale dunque Cosa nostra palermitana continuerebbe ad attraversare una fase di transizione e di rimodulazione, sforzandosi di conservare una struttura unitaria e verticistica, "per massimizzare, finché possibile, i profitti derivanti da un “paniere” di investimenti, certamente meno rilevante rispetto al passato - sottolinea la Direzione investigativa antimafia -. A tal fine, ciascuna famiglia (o mandamento) si sarebbe conquistata una maggiore autonomia, funzionale per garantirle un sufficiente livello di operatività soprattutto in quelle aree dove le attività investigative si sono rivelate più penetranti. Scelte operative a volte dolorose e conflittuali che potrebbero alla lunga produrre riflessi sull’esatta competenza territoriale dei mandamenti e delle famiglie, improntata a schemi meno rigidi rispetto al passato".

Secondo tale ottica, potrebbe essere maturato l’omicidio, avvenuto il 22 maggio 2017, di un anziano uomo d’onore del mandamento di Palermo-Porta Nuova, frangia dell’organizzazione già colpita da numerose operazioni anticrimine che ne hanno depotenziato gli organigrammi e scompaginato la struttura di vertice, determinando così un vuoto di potere. Il riferimento è all'omicidio di Giuseppe Dainotti, boss mafioso, ucciso a colpi di pistola in via D'Ossuna, quasi all'incrocio con via Marco Polo. Due killer, forse in sella a uno scooter, lo hanno atteso in strada per poi puntare la pistola verso la testa e aprire il fuoco. Dainotti, classe 1950, era un nome molto noto alle cronache giudiziarie perché faceva parte del lungo elenco di mafiosi scarcerati. "Fatto di sangue grave - commenta la Dia - che appare il segnale di una situazione in evoluzione, riconducibile alla necessità di mafiosi emergenti di affermare la propria autorevolezza e scalare posizioni di potere. Si disegna, così, la fisionomia di un’organizzazione che, pur continuando a perseguire una metodologia operativa di basso profilo e mimetizzazione, rimane una struttura dotata di vitalità e di una notevole potenzialità offensiva, oltre che ancora diffusamente ramificata sul territorio, dove continua ad esercitare ingerenze sugli apparati politico-amministrativi locali".

Non solo omicidi. Perché secondo gli investigatori il numero elevato delle rapine consumate in diversi quartieri palermitani e la presenza di un consolidato circuito di ricettazione, sembrano infatti confermare la tendenza di Cosa nostra a non trascurare i settori di minor spessore criminale: "La mafia palermitana - spiega la Dia - riesce ad affiancare la capacità di proiettarsi oltre, divenendo parte di un sistema criminale integrato che vede partecipi anche la ‘ndrangheta e la camorra, e il cui epicentro ruota attorno al business degli stupefacenti".

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