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Venerdì, 19 Aprile 2024
Mafia

E' morto Stefano Ganci, era uno dei fedelissimi di Totò Riina

Stava scontando l’ergastolo nel carcere di Parma. Capo del mandamento Noce, è stato stroncato da un infarto a 55 anni. Aveva fatto parte del commando che pedinò Paolo Borsellino la mattina della strage del 19 luglio 1992

E' morto Stefano Ganci, uno dei fedelissimi di Totò Riina, che stava scontando l’ergastolo nel carcere di Parma, come il boss corleonese. Capo del mandamento Noce, è stato stroncato da un infarto a 55 anni. La Procura - come da prassi - ha disposto l’autopsia, per fugare ogni dubbio. Era stato condannato a vita per gli omicidi di Rocco Chinnici e Ninni Cassarà (1985) ma anche per l'operazione Perseo, il maxi-blitz contro le cosche che portò in carcere 98 tra boss e gregari accusati di mafia, estorsione e traffico di droga. Gli inquirenti scoprirono anche un tentativo di ricostituzione della commissione provinciale di Cosa nostra.

Negli anni scorsi durante un interrogatorio davanti al giudice Nino Di Matteo il collaboratore di giustizia Antonino Galliano rivelò che Stefano Ganci - pochi minuti prima dell'attentato al giudice Borsellino, in via D'Amelio - aveva "anticipato" la strage con queste parole: ''Sentiti 'u buotto!" (senti il botto). Ganci infatti aveva fatto parte del commando che pedinò Paolo Borsellino la mattina della strage del 19 luglio 1992.

Proprio il padre - Raffaele Ganci - 86 anni, sta scontando l'ergastolo ed era un membro della "Commissione provinciale" di Cosa Nostra. Affiliati alla cosca della Noce, i Ganci (c'è anche l'altro fratello, Domenico) sono sempre stati strettamente legati ai Corleonesi di Riina. La famiglia Ganci gestiva un'avviata macelleria in via Lo Jacono, vicino alle residenze dei giudici Rocco Chinnici, in via Pipitone Federico, e di Giovanni Falcone.

Il terzo fratello di Stefano - Calogero Ganci - divenne un pentito e un testimone chiave nel 1996, confessando oltre 100 omicidi. Testimoniò contro suo padre e i suoi fratelli sul loro coinvolgimento negli assassini del giudice Chinnici, di Ninni Cassarà, del capitano D'Aleo e del primo pentito di mafia, Leonardo Vitale. Il questore ha vietato i funerali pubblici.

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