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Mafia Zen

La passione per i neomelodici e il record di scarcerazioni: è morto Spina, il boss dello Zen

Arrestato 12 volte, era sempre riuscito a continuare a comandare approfittando dei domiciliari, ottenuti grazie ai suoi problemi di salute. Il capo della cosca di San Filippo Neri aveva 52 anni. Quella volta che portò Gianni Vezzosi a cantare per la "sua" gente

Era stato arrestato 12 volte eppure era sempre riuscito a continuare a comandare approfittando dei domiciliari, che aveva ottenuto grazie ai suoi problemi di salute. Guido Spina, boss dello Zen, si è arreso oggi. E' morto a 52 anni. Lui, trapiantato di fegato, per questo motivo riusciva a sfuggire al carcere. Viveva in una casa bunker quasi inespugnabile, coi suoi muri alti nel cuore dello Zen, dotata di sofisticati sistemi di sicurezza e all'interno della quale si nascondeva un "supermercato" della droga all'ingrosso e dettaglio. 

Considerato il capo assoluto del clan di San Filippo Neri, Guido Spina era finito in carcere "solo" tre anni fa nell'ambito dell'operazione "Fiume", per associazione di tipo mafioso, estorsione, trasporto, detenzione e spaccio di ingenti quantità di droga. Era il 2014 e per lui fu decisa la misura del 416 bis.

Era un personaggio d'altri tempi, Spina. Pluripregiudicato per droga e mafia, comandava ma sapeva come fare contenti i residenti dello Zen: nel corso di una festa a sue spese invitò il suo cantante preferito, il neomelodico Gianni Vezzosi. Il cantante quella sera cantò ai boss la canzone "O killer", la storia di un sicario di mafia, e "Lettera a papa'", la giornata di un detenuto. 

Definito dagli investigatori arrogante e spavaldo, dalla sua dimora riusciva comodamente a dirigere un traffico di droga ed estorsioni. Spina - nella sua villa bunker divenuta a poco a poco una roccaforte - ripeteva di essere stato investito direttamente dai capimafia di un tempo. Occhio di riguardo per la cocaina che veniva spacciata a fiumi allo Zen. Droga che arrivava dalla Calabria. Ma la cosca non si occupava solo di spacciare. Tra i vari "interessi" c'era anche quello di imporre il pizzo ai commercianti, agli imprenditori e perfino a chi occupava le case popolari nei padiglioni dello Zen: un "obolo" in cambio di acqua e pulizia. Perché il principio vigente era quello del "poco ma tutti".

Due anni fa era stato condannato a 20 anni di reclusione, con l'accusa di appartenere a Cosa nostra col ruolo di capo. Nelle sue mani, secondo l'accusa, c'era il traffico di sostanze stupefacenti e la commissione di estorsioni nei confronti sia di esercizi commerciali sia degli abitanti del quartiere. Spina era risultato proprietario di due abitazioni allo Zen: la Dia gli aveva sequestrato beni per 400 mila euro, tra cui una villa con piscina, oltre ad appezzamenti di terreno confinanti con la sua residenza, in cui erano state realizzate opere edili (sotto il vincolo di “verde storico”), e un appartamento nella storica roccaforte della famiglia mafiosa del Borgo Vecchio. 

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