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Venerdì, 29 Marzo 2024
Mafia

"La morte di Falcone? Un incidente sul lavoro", frase choc di un assistente parlamentare

A pronunciare la parole pesantissime sul giudice ucciso dalla mafia nel 1992 nella strage di Capaci è stato Antonello Nicosia, esponente Radicale originario di Sciacca fermato stamani per associazione mafiosa insieme ad altre quattro persone, tra le quali il presunto capomafia della cittadina agrigentina. Avrebbe fatto da "messaggero" per i boss in carcere

La morte di Giovanni Falcone nella strage di Capaci? Un "incidente sul lavoro". A pronunciare la frase choc è stato Antonello Nicosia, esponente Radicale fermato stamani per associazione mafiosa insieme ad altre quattro persone, tra le quali il presunto capomafia di Sciacca Accursio Dimino, 61anni. L'operazione è stata denominata "Passepartout" e condotta dai militari della guardia di finanza di Palermo e Sciacca, dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Agrigento. Gli altri fermati sono Paolo Ciaccio, 33 anni; Luigi Ciaccio, 33 anni, Massimiliano Mandracchia, 46 anni. Tutti di Sciacca. Sono ritenuti "appartenenti o comunque contigui" alla famiglia mafiosa locale.

"Il nome all'aeroporto... sempre la stessa merda", le intercettazioni | VIDEO

nicosia-2Intercettato per mesi dagli inquirenti, parlando al telefono, Nicosia (nella foto) avrebbe dato giudizi sprezzanti sul giudice ucciso dalla mafia nel 1992. Parole pesanti, ritenute molto più di "espressioni infelici" e finite nel decreto di fermo firmato dai pm della Dda di Palermo. "Da quando era andato al ministero della Giustizia  -avrebbe detto in un'altra occasione - più che il magistrato faceva il politico".

Nicosia, originario di Sciacca,  è assistente parlamentare e conduttore in tv della trasmissione "Mezz'ora d'aria". Secondo l'accusa era in contatto con diversi boss, in virtù del suo ruolo di assistente parlamentare e di direttore dell'Osservatorio internazionale dei diritti umani, onlus che si occupa della difesa dei diritti dei detenuti, e fra questi il boss di Sciacca, Accursio Dimino, e Filippo Guttadauro, cognato del super boss Matteo Messina Denaro. Secondo la Procura avrebbe fatto da tramite tra capimafia, alcuni dei quali al 41 bis, e i clan, portando all'esterno messaggi e anche ordini. Nicosia ha accompagnato la deputata di Iv ex Leu Pina Occhionero (che risulta estranea alla vicenda ndr) in alcune ispezioni all'interno delle carceri siciliane: durante quelle visite i boss avrebbero affidato all'assistente della parlamentare dei messaggi da recapitare all'esterno. 

Gli assetti delle cosche tra Sicilia e America

Al centro delle indagini la figura di Accursio Dimino, detto "Matiseddu", già condannato per associazione mafiosa - l'ultima volta nel 2010 - per il suo ruolo di "reclutatore di nuovi adepti" per la mafia. Gli inquirenti gli riconoscono una ruolo centrale "nell’acquisizione di attività economiche ed appalti di opere pubbliche nel settore edile e turistico-alberghiero, per assumere, nel primo decennio degli anni 2000, il ruolo di capo della famiglia mafiosa di Sciacca".

Dimino, negli anni ’90, per conto della famiglia di Sciacca avrebbe avuto un ruolo centrale nel mantenere i rapporti con i boss delle altre province. Avrebbe mantenuto contatti anche tramite i famigerati "pizzini” con i corleonesi, in particolare con Riina e Brusca. Accertati contatti anche con Matteo Messina Denaro.

"A partire dalla sua scarcerazione - spiegano gli investigatori - sono stati documentati i rapporti intrattenuti da Dimino con soggetti mafiosi operanti nel territorio di Sciacca, di Castellammare del Golfo (Tp) e conuni personaggi ritenuti contigui alla famiglia mafiosa Gambino di New York". In particolare, avrebbe pianificato un affare poi sfumato per l'omicidio, avvenuto a New York lo scorso 13 marzo – di Frank Calì (FrankieBoy), esponente di spicco della citata famiglia mafiosa italo-americana.

Fra i fatti contestati a Dimino nel provvedimento emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Palermo anche "le pressioni su imprenditori locali per consentire a imprese riconducibili a propri 'amici' di ottenere appalti, l’attività di recupero crediti a beneficio di soggetti legati a uomini d’onore, propositi di danneggiamenti e altre attività criminali nei confronti di diversi soggetti per finalità estorsive".

Alcuni colloqui captati nel corso delle indagini svelerebbero inoltre come Dimino abbia rappresentato, in passato, l’ala più dura della famiglia di appartenenza, facendo parte del cosiddetto "triumvirato", lo storico gruppo di fuoco operante negli anni ‘90 Sciacca.


Il ruolo di Nicosia, tra privilegi della politica e interessi dei boss

Nicosia è ritenuto "organico alla famiglia mafiosa saccense" ed è già noto in quanto, tra le altre cose, "condannato in via definitiva a 10 anni e mesi 6 di reclusione per partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, scarcerato da ormai oltre 10 anni".

Il nome di Nicosia torna più volte nell'indagine. E' considerato "pienamente inserito nel contesto mafioso saccense" (accusa supportata dalle conversaizoni con Dimino ndr). Avrebbe anche chiesto a un boss di "punire" un uomo che gli doveva del denaro. Agli atti anche una riunione tra Nicosia e due pregiudicati (tra cui un fidato collaboratore di Messina Denaro), avvenuta nel mese di febbraio del 2019 a Porto Empedocle, nel corso della quale "i tre affrontavano alcuni argomenti di rilevante interesse investigativo, chiamando in causa direttamente il latitante al quale doveva essere destinata una somma di denaro che gli interlocutori si stavano prodigando a recuperare".

Per gli inquirenti, il suo ruolo di assistente parlamentare gli consentiva poi di accedere all’interno di diverse carceri del territorio nazionale e avere contatti anche con altri esponenti di Cosa nostra. "In virtù di tale rapporto - spiegano - ha partecipato ad alcune ispezioni carcerarie parlamentari e ha sicuramente fatto accesso all’interno delle carceri di Sciacca (Ag), Agrigento, Trapani e Tolmezzo (UD) senza la preventiva autorizzazione del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e ciò sfruttando le prerogative riconosciute dalle norme sull’ordinamento carcerario ai membri del Parlamento e a coloro che li accompagnano".

Per l'accusa "Nicosia si è adoperato fattivamente al fine di favorire alcuni detenuti rientranti nel circuito di Messina Denaro tra cui Filippo Guttadauro (cognato del latitante, attualmente internato in misura di sicurezza - casa lavoro presso la Casa Circondariale di Tolmezzo e ancora sottoposto al regime detentivo ex art 41 bis). Nella prima puntata del suo programma televisivo e via web 'Mezz’ora d’aria' dal titolo 'Misure di Sicurezza - il caso Tolmezzo' e trasmessa da una emittente locale, ha intervistato un avvocato con cui si soffermava sulla presunta anticostituzionalità della procedura di applicazione delle misure di sicurezza (fenomeno dei cosiddetti "ergastoli bianchi") con particolare riguardo agli internati sottoposti al regime del 41 bis a Tolmezzo. Sfruttando la possibilità che aveva di accedere all’interno delle carceri, si proponeva di veicolare messaggi tra soggetti liberi (a vario titolo contigui al contesto mafioso siciliano) e detenuti già condannati in via definitiva per partecipazione ad associazione mafiosa".

Tra gli elementi al vaglio degli inquirenti anche "l’impegno profuso da Nicosia per la realizzazione di un non meglio delineato progetto relativo al settore carcerario che interessava direttamente Messina Denaro". Progetto per il quale "si aspettava di ricevere un ingente finanziamento non ritenendo sufficienti i ringraziamenti che asseriva di avere ricevuto dallo stesso ricercato".

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