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Giovedì, 25 Aprile 2024
Mafia

"Brusca voleva uccidermi e rapire mio figlio, ma non trattatelo come Riina: si è pentito"

A parlare è Pietro Grasso, già giudice a latere del maxiprocesso, poi procuratore di Palermo e procuratore nazionale antimafia: "Ha deciso di collaborare con la giustizia, rompendo ogni legame con Cosa nostra"

"E stato giusto che Riina e Provenzano siano rimasti in carcere fino alla loro morte, ma uno come Brusca non si può valutare alla stessa maniera", in lui il "ravvedimento c'è stato", ha deciso di "collaborare con la giustizia, rompendo ogni legame con Cosa nostra, rendendo dichiarazioni che hanno trovato riscontri e conferme". Lo dice Pietro Grasso, già giudice a latere del maxi-processo alla mafia, poi procuratore di Palermo e procuratore nazionale antimafia, in un'intervista al 'Corriere della Sera', a firma di Giovanni Bianconi.

Grasso sottolinea che la "legge per "ravvedimento" intende altro", non "le scuse o richieste di perdono" e il "'pentimento sociale' richiesto dai giudici di sorveglianza secondo me è rappresentato anche dalla collaborazione che non s'è interrotta in oltre vent'anni" e "ha aiutato a scoprire la verità su ciò che era avvenuto e impedito ulteriori crimini". "Ha scontato oltre 23 anni in carcere, e tra due anni la pena sarà esaurita - si legge ancora nell'intervista - gode già di permessi che per certi versi gli concedono più spazi di libertà rispetto alla detenzione domiciliare: è la dimostrazione che collaborare paga".

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Anche l'ex presidente del Senato si ritiene "una vittima di Giovanni Brusca, perché ha progettato un attentato contro di me e voleva rapire mio figlio; ma pure perché tra le centinaia di persone che ha ucciso o di cui ha ordinato la morte c'erano alcuni miei amici. Ma è pure vero che queste cose le sappiamo grazie a lui, alla sua collaborazione e confessione. Le ha dette anche a me, durante decine di interrogatori".

Quanto al no ai domiciliari di Maria Falcone e Tina Montinaro, sorella del magistrato e vedova del caposcorta che saltò in aria con lui a Capaci, Grasso dice di "condividere il loro dolore e la loro rabbia, ma so anche che i giudici per fare il loro dovere sono tenuti ad applicare le norme prescindendo dai sentimenti delle vittime, per dimostrare che l'ordinamento statale opera secondo giustizia e mai secondo vendetta".

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