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Polemica per la possibile scarcerazione del boss Totò Riina, Cortese: "E' ancora il capo di Cosa Nostra"

La Cassazione ha accolto il ricorso del legale del padrino, che chiede il differimento della pena, in virtù del diritto di tutti a una "morte dignitosa". La decisione finale spetta al tribunale di Sorveglianza di Bologna. I familiari delle vittime: "Una nuova ferita"

"Diritto a una morte dignitosa". Sono poche e semplici parole sulle quali tutti, normalmente, concordano. Queste parole sono però state pronunciate dai giudici della Corte di Cassazione in riferimento a Totò Riina, il boss corleonese che sta scontando l'ergastolo. La prima sezione penale della suprema Corte ha per la prima volta ha accolto il ricorso del difensore del padrino, che chiede il differimento della pena o, in subordine, la detenzione domiciliare in virtù del suo stato di salute. L'ipotesi di una scarcerazione ha generato la dura reazione di politici, familiari delle vittime di mafia, semplici cittadini. Anche sui social network sono rimbalzate immagini delle stragi del 1992 e dei delitti commissionati da Cosa nostra. 

L'istanza di differimento della pena era già stata respinta e il legale aveva fatto ricorso. La Corte ha stabilto che il giudice deve verificare e motivare "se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza e un'afflizione di tale intensità" da andare oltre la "legittima esecuzione di una pena" perchè "il diritto a morire dignitosamente" deve essere assicurato a ogni detenuto“La decisione finale spetta adesso al tribunale di sorveglianza di Bologna.

Renato-Cortese-questore-3-2C'è "un tema più generale che riguarda la scarcerazione di importanti boss in Sicilia che, con il loro ritorno sul territorio potrebbero influire sulla situazione attuale". Dice il questore Renato Cortese (nella foto) in un'intervista al Messaggero. "Al momento - spiega - la mafia non è morta ma è effettivamente in difficoltà, tanto più dopo sequestri e confische di beni per importi molto consistenti. Questo non vuol dire che l'organizzazione non faccia affari, anzi nei momenti in cui le armi tacciono spesso gli investimenti economici proliferano". Già nelle scorse settimane Cortese, artefice dell'arresto di Bernardo Provenzano, aveva acceso i riflettori sulla pericolsità di alcune scarcerazioni. "Negli ultimi mesi - torna a ribadire oggi - ci sono state diverse scarcerazioni di peso, personaggi che sono stati in carcere e dopo quindici o venti anni tornano sul territorio con un impatto che va monitorato attentamente e che può cambiare la situazione attuale di relativa calma. Se a tornare nell'organizzazione sono teste pensanti queste possono essere in grado di coagulare attorno a sé un certo consenso e di rinvigorire Cosa nostra". Su Riina, dopo il rinvio della Cassazione, "la valutazione la faranno i giudici - osserva -. È difficile conoscere le sue effettive capacità, certo è un dato di fatto che Riina è ancora formalmente il capo in vigore di Cosa nostra, l'ultimo il cui ruolo sia stato formalmente votato dalla Commissione provinciale, il massimo organismo decisionale della mafia siciliana".

"Totò Riina deve continuare a stare in carcere e soprattutto rimanere in regime di 41 bis", dice in modo più netto il procuratore nazionale Antimafia, Franco Roberti, in un'intervista al Corriere della Sera. Quello della Cassazione, spiega, è un "annullamento con rinvio, il Tribunale dovrà integrare la motivazione sui punti indicati dalla Cassazione e sono certo che a quel punto reggerà l'intero impianto. Questa decisione non mi preoccupa". La Cassazione dice che non è motivata a sufficienza l'attualità del pericolo, ma "siamo perfettamente in grado di dimostrare il contrario - afferma -. Abbiamo elementi per smentire questa tesi. E per ribadire che Totò Riina è il capo di Cosa nostra", "le indagini sono in corso e non ho nulla da dire, né potrei farlo. Ma vorrei ricordare che il pubblico ministero Nino Di Matteo vive blindato proprio a causa delle minacce che Totò Riina ha lanciato dal carcere. Se non è un pericolo attuale questo, mi chiedo che altro dovrebbe esserci". 

"Totò Riina - commenta Rosy Bindi, presidente della commissione parlamentare Antimafia è detenuto nel carcere di Parma, dove vengono assicurate cure mediche in un centro clinico di eccellenza. Giusto assicurare la dignità della morte anche a Riina, ma per farlo non è necessario trasferirlo altrove, men che meno agli arresti domiciliari".

dalla chiesa-3-7Ma a parlare non sono solamente i raprresentanti delle istituzioni, sono i familiari delle vittime di mafia che "urlano" tramite i social network e la stampa il loro dolore mai sopito. Rita Dalla Chiesa, figlia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, affida a Instagram (nella foto a sinistra) le sue riflessioni. "Il tuo sorriso, papà - scrive postando una fotografia del genitore - è la migliore risposta alla sentenza di Cassazione su una possibile scarcerazione di Totò Riina, per motivi di salute. 'Anche un boss deve avere dignità nella malattia', affermano i giudici. Lo sai che rideva, quando mi sentiva parlare di te? ...Esistono ancora il Paese, lo Stato e la Giustizia nella quale ci hai insegnato a credere tu? E Falcone, Borsellino, e tutti gli altri al quale lui ha spezzato famiglie e futuro con le pallottole. Facile, vero? I grandi uomini che per poter vivere devono ammazzare gli altri. Sorridi, papà, lassù siete in tanti ad avere avuto dignità in vita. Vi amo tutti. Ma te di più".

Per Franco La Torre, figlio di Pio La Torre, la scarcerazione di Riina sarebbe "un'ulteriore ferita" per le vittime. "Quando qualche anno fa Provenzano era incapace di intendere e di volere, sono stato fra quelli che erano favorevoli a restituirlo ai suoi cari e lo sarei anche oggi se le condizioni di Riina fossero le stesse. Ma non mi pare che sia così".

"Il diritto a morire dignitosamente - scrive su Facebook Luigi Ciotti, fondatore di "Libera" - vale per ogni persona detenuta, in accordo a quella più ampia umanizzazione della pena che contrassegna la civiltà di un Paese, come ci ricorda la Costituzione. Non fa eccezione Toto Riina, al quale è giusto assicurare tutte le cure necessarie in carcere e, se occorre, in ospedale, affinché la detenzione non aggravi le sue condizioni di salute. Sull’ipotesi – avanzata dalla Cassazione – di una mutazione della pena detentiva in arresti domiciliari, sono certo che il Tribunale di Bologna valuterà con saggezza e piena cognizione di causa, tenendo conto di tutti i fattori in gioco. Perché certo c’è una persona malata, al quale lo Stato deve riservare un adeguato trattamento terapeutico a prescindere dai crimini commessi e dalla presenza o meno – che in questo caso non c’è stata – di una presa di coscienza, di un percorso di ravvedimento e di conversione. Ma c’è anche una vicenda di violenza, di stragi e di sangue che ha causato tante vittime e il dolore insanabile dei loro famigliari. Molti di loro ho avuto la fortuna di conoscerli, e di apprezzarne il coraggio e la fermezza d’animo, la ricerca di verità e la speranza incrollabile nella giustizia, il rispetto per le istituzioni e la volontà di trasformare il dolore in impegno, in contributo alla costruzione di una società più giusta.C’è dunque un diritto del singolo, che va salvaguardato. Ma c’è anche una più ampia logica di giustizia di cui non si possono dimenticare le profonde e indiscutibili ragioni".

Valeria Grasso-3"Nessuna pietà, deve scontare fino all'ultimo giorno di pena in carcere - commenta Valeria Grasso testimone di giustizia che ha fatto arrestare alcuni esponenti del clan Madonia -. Un essere che non ha mai fatto sconti a nessuno e ha rubato il diritto alla vita a vittime innocenti, morti solo per aver fatto il proprio dovere. La mia condanna a morte - continua Valeria Grasso - è partita proprio dal carcere e da allora per due anni sono stata costretta a vivere in località segreta e probabilmente ancora oggi lo sarei se non fossi stata io a chiedere di tornare in Sicilia per essere libera di vivere nella mia terra. Sono certa che la mia condanna a morte è per la vita e la mafia certamente non mi farà sconti di pena".

“Il Siulp palermitano - si legge in un nota - non può che condividere il grido di allarme e di sdegno lanciato dalle associazioni delle vittime del dovere, caduti per vile mano mafiosa, alla notizia di una prossima valutazione del competente Tribunale di Sorveglianza, alla luce della recente sentenza della Corte di Cassazione circa la possibilità di un differimento della pena del noto boss mafioso Totò Riina. Per questo il Siulp si augura che pur assicurando ogni doverosa cura ed assistenza in carcere lo Stato si ricordi dei suoi doveri nei confronti dei suoi servitori che hanno dato la vita per il Paese e sia intransigente per chi non ha mai avuto pietà verso le sue vittime o senso di pentimento alcuno”.

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