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Venerdì, 19 Aprile 2024
Mafia

Capitano Ultimo e i suoi uomini raccontano l’arresto di Riina: "Casa mai perquisita, decise Caselli"

A raccontare come sono andate le cose sono i protagonisti di quella impresa in una lunga intervista-reportage che andrà in onda sabato su Rai Uno. Mesi di pedinamenti e appostamenti silenziosi: "Arrivammo a Palermo e di Riina non esistevano foto perché tutti avevano paura"

"Catturate Riina - Gli uomini che fecero l'impresa": 25 anni fa a Palermo fu arrestato il Capo dei Capi dopo un blitz del capitano Ultimo e dai suoi uomini dei Reparti operativi speciali dei carabinieri. Come andò quella caccia segreta, durata sei mesi, iniziata dopo i boati di Capaci e via D’Amelio? A raccontarlo - per la prima volta - i protagonisti di quella impresa, in una lunga intervista-reportage di Pino Corrias e Renato Pezzini per Raiuno, in onda sabato 26 maggio in seconda serata (orario fissato per le 00.20).

La responsabilità della mancata perquisizione alla villa in cui viveva Totò Riina - da quello che raccontano Ultimo e i suoi uomini - va attribuita alla Procura di Palermo all’epoca guidata da Giancarlo Caselli. Eppure per la scelta di non perquisire – proposta dai carabinieri e accettata dalla Procura – Ultimo è stato inquisito per anni; Caselli e gli altri magistrati mai. E' stato il Messaggero a svelare qualche anticipazione, riferendo il racconto dei componenti del gruppo di carabinieri guidato dal capitano Sergio Di Caprio (Ultimo) che il 15 gennaio del 1993, dopo mesi di appostamenti, arrestarono il capo dei capi di Cosa Nostra, latitante da 23 anni.

"Arrivammo a Palermo nel settembre del 1992 - raccontano -. Scoprimmo che di Riina non esistevano né foto, né informative, né dossier. Il suo fascicolo era di poche pagine. La verità è che tutti ne avevano paura". Mesi di pedinamenti e investigazioni in solitudine, le "soffiate" del pentito Balduccio Di Maggio, il momento dell'arresto. Ma la perquisizione della villa di Riina avvenne solo 18 giorni dopo, quando ormai là dentro non c'era più nulla di rilevante. Da qui il processo durato anni e finito con la piena assoluzione di Ultimo e di Mori, il colonnello che comandava il Ros. "La mia era soltanto un’ipotesi investigativa che ritenevo e ritengo giusta - dice ora il capitano Ultimo -. Proposi di non fare la perquisizione per seguire i fratelli Sansone, titolari del contratto d’affitto, e scoprire la rete di complicità che aveva coperto la latitanza di Riina".

Parla anche un altro dei componenti del gruppo, il maresciallo col nome in codice Arciere, braccio destro di Ultimo: "Caselli in quel momento aveva condiviso la nostra proposta di non perquisire. Era lui il capo supremo dell’indagine. Se ci avesse chiesto di perquisire, l’avremmo fatto".

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