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Mafia palermitana con l'accento toscano: "Quella telefonata alla mamma di Pietro Tagliavia"

Riciclaggio e fatture false, nell'operazione che ha portato all'arresto di 10 palermitani a febbraio, emerge una conversazione nella quale la madre di Francesco Paolo Clemente contatta la madre di Pietro Tagliavia chiedendo sostegno economico dopo l'arresto del figlio

"La famiglia Tagliavia fu contattata per fornire sostegno economico alle famiglie delle 12 persone - 10 palermitani e 2 pugliesi - arrestate il 6 febbraio scorso dalla guardia di finanza di Prato con l'accusa di far parte di un gruppo criminale, che riciclava proventi da affari criminali del clan mafioso di Corso dei Mille di Palermo, capeggiato da Pietro Tagliavia, figlio di Francesco, già al vertice del mandamento di Brancaccio, condannato all'ergastolo per le stragi di via d'Amelio a Palermo e via dei Georgofili a Firenze". E' quanto emerso da una conversazione intercettata dalla guardia di finanza alcuni giorni dopo l'operazione e riportata oggi dal Tirreno. 

"All'intercettazione - si legge - fa riferimento anche il tribunale del riesame motivando il rigetto delle richieste di annullamento delle misure (sei arresti in carcere e sei ai domiciliari). Nella conversazione la madre di Francesco Paolo Clemente, uno degli arrestati, contatta la madre di Pietro Tagliavia chiedendo sostegno economico dopo l'arresto del figlio". Il comportamento della donna, scrivono i giudici del riesame, "conferma il modus operandi di questo tipo di compagini associative i cui maggiori esponenti, quali appunto i due Tagliavia, padre e figlio, sono soliti venire in soccorso degli affiliati ogniqualvolta se ne presenti la necessità".

Quella effettuata dalla guardia di finanza di Prato e dalla Dda di Firenze è stata una maxi operazione antimafia capace di sgominare una banda, che affondava radici in tutta Italia, con l'accusa di associazione a delinquere e riciclaggio a favore di Cosa nostra. Gli arrestati, secondo le accuse, "lavoravano" per Pietro Tagliavia, figlio di Francesco Tagliavia. Tra gli arrestati persone residenti a Prato e altre nei comuni dell'hinterland fiorentino, tra cui Campi Bisenzio e Sesto Fiorentino, che fanno parte di due famiglie di origini siciliane e pugliesi, trapiantate anni fa nel Lazio e in Toscana. Secondo le indagini dell'antimafia, gli arrestati riciclavano i proventi degli affari criminali della famiglia mafiosa di Corso dei Mille di Palermo, capeggiata da Pietro Tagliavia, già condannato con sentenza irrevocabile per il reato di associazione mafiosa.

Dietro le sbarre sono finiti i palermitani Francesco Paolo Clemente, Gaetano Lo Coco, Francesco Paolo Mandalà, Giacomo Clemente, Francesco Paolo Saladino e il foggiano Alfonso Domenico Interiale. Ai domiciliari invece Leonardo Clemente, Pietro Clemente, Santo Bracco, Giulia, Filippo e Vincenzo Rotolo. Anche questi sono tutti originari di Palermo, tranne Bracco che è nato a Gangi. Gli indagati, secondo quanto ipotizzato dagli inquirenti, si erano messi a completa disposizione di Pietro Tagliavia, nel periodo in cui egli era detenuto nella casa circondariale di Prato, tanto da trovargli nel 2017 un’abitazione a Campi Bisenzio, dove lo stesso aveva poi scontato gli arresti domiciliari e da fornirgli, clandestinamente, un telefono con il quale mantenere i contatti anche con i propri sodali in Sicilia.

La provenienza dalla Sicilia di parte del denaro riciclato avrebbe trovato conferma anche in molte conversazioni telefoniche intercettate e nei successivi riscontri investigativi. Nel corso delle indagini sarebbero stati inoltre rilevati movimenti di denaro, evidentemente 'ripulito', a favore del capocosca palermitano. Il riciclaggio avrebbe riguardato anche i proventi dei reati di emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, commessi sia nell’ambito dei rapporti tra le imprese gestite dall’organizzazione che a favore di aziende ad essa estranee. Gli inquirenti coordinati dal procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo ritengono di aver ricostruito un flusso illecito di denaro per circa 150 milioni di euro, di cui 39 provenienti direttamente da soggetti di Palermo legati alla mafia. Secondo le accuse, si tratta di soldi riciclati principalmente nell'economia toscana. L'associazione a delinquere avrebbe infatti immesso nel circuito economico denaro di provenienza illecita attraverso le creazione di una galassia di 33 imprese con sedi in tutta Italia, in particolare in Toscana, Sicilia e Lazio, tutte aventi per oggetto sociale il commercio dei pallets, le pedane in legno usate per il trasporto e la movimentazione di materiale.

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