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Sabato, 20 Aprile 2024
Mafia Brancaccio

Fatture false e pizzo, i "tentacoli" della mafia anche sulle bancarelle alle feste rionali

Così la cosca di Brancaccio guidata da Pietro Tagliavia controllava il territorio. "Fai un regalo nella busta e poi me la sbrigo io. Va bene?". Polizia e Finanza hanno arrestato 34 persone e sequestrato beni e attività per 60 milioni in tutta Italia

Con i suoi lunghi tentacoli la cosca mafiosa era riuscita a coltivare un business da 60 milioni di euro, tra aziende che si occupavano di imballaggi industriali e la gestione abusiva del gioco del Lotto. E dalla morsa della “piovra” non sfuggivano neanche gli ambulanti con le loro bancarelle, i quali dovevano chiedere l’autorizzazione per potere vendere calia, semenza e bevande durante le feste rionali. “Poi già a loro - discutevano due degli arrestati - gli hanno detto che…ora hanno il problema della birra e via di seguito, come sono…vuoi andare a vedere come sono situati…” Questo uno dei retroscena dell’operazione condotta da polizia e guardia di finanza che ha portato all’arresto di 34 persone (LEGGI I NOMI) presunte appartenenti o comunque vicine alla famiglia di Brancaccio.

Leggi anche: Mafia a Brancaccio, 34 arresti

Secondo quanto ricostruito dagli investigatori in oltre un anno di indagini, coordinate dal Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica, i componenti del mandamento utilizzavano una serie di prestanome ai quali avevano intestato decine di aziende con le quali gestivano le forniture industriali in tutta Italia e in Sicilia, dove operavano sostanzialmente in regime di Monopolio. A capo del mandamento e della famiglia di corso dei Mille c’era Pietro Tagliavia, passato dagli arresti domiciliari al carcere. Si occupava tra le altre cose del traffico di stupefacenti e della cassa comune per il sostentamento delle famiglie dei detenuti.

Mafia, gli arresti a Brancaccio - le foto

Per farlo si avvaleva delle collaborazioni di altri elementi di vertice tra i quali Claudio D’Amore, Bruno Mazzara e Giuseppe Lo Porto, il fratello del cooperante Giovanni ucciso al confine tra Afghanistan e Pakistan due anni fa. A loro si aggiungono altri fidati collaboratori come Francesco Paolo Clemente, Francesco Paolo Mandalà e Gaetano Lo Coco, incaricati di controllare le numerose aziende grazie alle quali potevano fare grossi profitti senza versare tasse e frodando il Fisco. Poi c’erano anche alcuni rappresentanti della famiglia di Brancaccio come Giuseppe Caserta e Cosimo Geloso, o quelli della famiglia di Roccella, come Giuseppe Mangano, Giuseppe Di Fatta e Antonino Marino.

Video: "Gestivano anche il gioco del Lotto"

Durante le indagini sono state rilevati, tra appostamenti e intercettazioni, numerosi episodi di minacce, furti ed estorsioni a imprese edili impegnate in attività di ristrutturazione o a piccoli esercizi commerciali: chi non si piegava alla richiesta del pizzo avrebbe poi dovuto fare i conti con incendi e danneggiamenti, tra vetrine spaccate a colpi di martello, auto incendiate o altro ancora: “Sei venuto a montare qua sotto, vedi che io di solito prendo le cose e li butto per terra, noi altri a questi discorsi non ci dobbiamo arrivare” diceva Salvatore Giordano a un imprenditore, presentandosi come “amico” e per conto di “iddi” (la famiglia mafiosa, ndr) per invitarlo a “mettersi a posto”. “Dimmi quello che gli devo andare a riferire a 'iddi...così non ci cacano la m…Fai la richie...fai un regalo nella busta e poi me la sbrigo io. Va bene? Per l’ennesima volta vedi che ti sto…Ti sto aiutando io, io sono l'amico tuo...Va bene?’’.

Video: L'uscita degli arrestati tra le lacrime dei parenti

Così la cosca imponeva la sua presenza e la sua influenza nel quartiere. Il “core business”, però, riguardava la gestione delle aziende grazie alle quali avevano costituito una sorta di “cartello”, operativo in diverse regioni ma particolarmente radicato in Sicilia e Toscana. C’erano aziende (definite "cartiere") che venivano aperte e chiuse nel giro di due anni per sfuggire ai controlli della Finanza o altre che, per massimizzare i ricavi, emettevano fatture per operazioni inesistenti e gestite all’interno della stessa holding: 1.885.109,59 euro nel 2009, 8.343.415,59 nel 2010, 7.312.505,88 l’anno successivo, come rilevato dalle indagini del nucleo tributario della guardia di finanza per una delle 42 aziende finite nel mirino.

Le intercettazioni: "Gli bruciamo solo la tavola..."

Nel gennaio 2015 le cimici intercettano una conversazione tra Francesco Paolo Clemente e un imprenditore colluso nella zona del Livornese che, parlando di tecniche varie per eludere i controlli, gli dice: “Hanno visto l’introito che fanno con te a fine anno perché credo comunque avranno idea di quello che tu paghi a loro”. Poi gli consiglia: “(Gli) dici senti un po’ ma io ogni anno con te fatturo centomila euro, dal prossimo anno in poi non posso più fatturare se non mi vieni incontro. Io posso perdere queste centomila euro no ma magari ne perdo settanta, ma non cento, ne voglio perdere trenta, venticinque…Non è così eh…”.

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