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Cronaca

Mafia, il pentito Giuffrè: “Falcone e Borsellino furono lasciati soli”

L'ex appartenente a Cosa nostra depone nell'aula bunker del carcere Rebibbia a Roma raccontando di "quando Riina dichiarò guerra allo Stato". E aggiunge: "La trattativa? Ci fu. I due giudici non avevano molti amici nella magistratura"

“Chiddu chi vene ni pigghiamu": è l'inizio della resa dei conti. La guerra dichiarata da un Totò Riina disposto a tutto. "Quel che viene, ci prendiamo". Siamo tra la fine di novembre e gli inizi di dicembre del 1991 quando il capo dei capi di Cosa nostra comunica alla commissione provinciale l'inizio di una nuova fase, l'inizio della strategia terroristica. Riunito in un appartamento nel centro di Palermo c'é il gotha delle "famiglie": Raffaele Ganci, Pietro Aglieri, Carlo Greco, Matteo Motisi, Michelangelo La Barbera, Giuseppe Graviano. E Salvino Madonia. Nino Giuffré lo ripete oggi senza fare sconti al boss a cui per anni è stato legato da un vincolo più forte di quello di sangue: il vincolo dell'appartenenza a Cosa nostra. Al summit che sancì l'avvio dell'era stragista c'era pure Salvino Madonia, storico capomafia della cosca di san Lorenzo, rimasto indenne finora dall'accusa degli eccidi di Capaci e via D'Amelio.

Nell'aula bunker del carcere di Rebibbia che fino a venerdì vedrà protagonisti quattro pentiti - Giuffré, Giovanni Brusca, Tommaso Cannella e Gaspare Spatuzza - l' ex capo mandamento di Caccamo torna a raccontare la drammatica riunione che cambiò la storia della mafia. Una deposizione fiume nel corso di un incidente probatorio davanti al gip di Caltanissetta Alessandra Giunta, chiesto nell'ambito della nuova inchiesta sulla strage di via D'Amelio che a marzo scorso ha portato all'emissione di quattro ordinanze di custodia cautelare a carico di Madonia, accusato di essere mandante dell'eccidio, Vittorio Tutino, l'uomo che avrebbe insieme a Spatuzza rubato l'auto poi imbottita di tritolo usata per fare saltare in aria Borsellino, Salvo Vitale, il basista che avrebbe dato il via libera avvertendo il commando dell'arrivo del giudice in via D'Amelio, e Calogero Pulci, il pentito dalle alterne vicende che, mentendo, avrebbe confermato i depistaggi di Vincenzo Scarantino. Per Madonia, Tutino e Vitale l'accusa è di concorso in strage. A Pulci i pm contestano la calunnia aggravata. Certo dell'esito negativo del maxiprocesso, prossimo alla sentenza di Cassazione, Riina comunicò una lista di personaggi da eliminare: nemici - come Giovanni Falcone - e vecchi amici che non avevano rispettato i patti. giuffre_antonino-2

"Calogero Mannino, Salvo Andò e Salvo Lima", dice Giuffré, il primo dei quattro pentiti a salire sul banco dei testi davanti ai pm della dda di Caltanissetta Nicolò Marino e Stefano Luciani. E' lui a ricostruire la riunione in cui Riina tra il gelo dei partecipanti comunicò che era arrivato il momento in cui ognuno si sarebbe dovuto assumere le sue responsabilità. Una frase carica di significato a cui seguì una lunga scia di sangue e omicidi eccellenti come quello dell'eurodeputato dc Salvo Lima. Poi vennero Falcone e Borsellino. "Oggi in loro memoria - dice il pentito - si fanno grandi celebrazioni, ma quando erano vivi anche all'interno della magistratura non avevano molti amici e anche questo ha reso forte Totò Riina". Perché, spiega, la mafia approfitta dell'isolamento dei suoi nemici. Una deposizione quella dell'ex capomafia che ha toccato anche un altro tema importantissimo nella ricostruzione dell'eccidio di via D'Amelio: quello della trattativa tra Strato e mafia che, secondo i pm, sarebbe stata scoperta da Borsellino e avrebbe portato all'accelerazione della decisione di eliminarlo.

"Dalla stampa capii - dice Giuffré che Vito Ciancimino (ex sindaco mafioso di Palermo ndr) stava collaborando con le forze dell'ordine o con i magistrati e chiesi spiegazioni a Provenzano. Lui rispose: 'Vito è in missione si occupa dei nostri interessi". Una frase sibillina, allora, per Giuffré che letta alla luce delle tante verità emerse dalle indagini assume un significato sinistro: la trattativa c'è stata. (Ansa)
 

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