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Cronaca

Arrestati per furto di carburante, il giudice del lavoro: "Rap reintegri lavoratori"

Questa la decisione per 4 dipendenti arrestati nel 2015. Dall'analisi del materiale probatorio relativo al processo penale (ancora in corso) non sarebbero emerse condotte illecite. L'avvocato: "Nessun furto, solo un 'equivoco' dovuto al caos organizzativo"

Il processo penale con rito abbreviato per il furto di carburante all’azienda deve ancora concludersi, ma per il licenziamento di quei quattro dipendenti della Rap è da considerarsi illegittimo. Così ha deciso il giudice del lavoro del tribunale di Palermo, Paola Marino, che ha condannato la Rap - la società che gestisce la raccolta dei rifiuti in città - a reintegrare Giovanni Di Franco, Francesco Mancuso, Salvatore Messina e Antonio Cardinale. “Una decisione presa a seguito dell’analisi del materiale probatorio agli atti del procedimento penale - spiega l’avvocato Alessandro Conigliaro, che difende Mancuso - al termine della quale le condotte contestate ai ricorrenti non appaiono illecite né illegittime”.

Gli operatori della Rap erano finiti agli arresti domiciliari nell’aprile del 2015 a seguito di un’operazione di polizia secondo cui i quattro si sarebbero impossessati di gasolio e altro materiale Rap. Dal procedimento penale ancora pendente si è arrivati al procedimento disciplinare, l’anticamera del licenziamento che qualcuno di loro ha poi anche impugnato con il ricorso introdotto con il cosiddetto “rito Fornero”, rigettato però nella fase cautelare. Mancuso, ricostruisce il legale difensore, ha poi presentato un ulteriore reclamo: “Il giudice del lavoro ha revocato le ordinanze opposte, dichiarato illegittimo il licenziamento intimato al mio assistito e condannato la Rap a reintegrare lui e i colleghi”

Vagliando documenti e testimonianze il giudice ha ricostruito il clima di caos organizzativo successivo al passaggio da Amia a Rap. Ci sono alcune “comunicazioni fatte dal rappresentante sindacale alla dirigenza - aggiunge l’avvocato Conigliaro - su cui viene apposta a penna da un dirigente una nota con cui si dice che il dipendente avrebbe dovuto provvedere in modo autonomo alla soluzione del problema (relativo al trasporto di carburante o di attrezzatura, ndr) senza attendere ordine di servizio”. In quel periodo di confusione “le attività venivano svolte dai dipendenti - prosegue - spesso su disposizioni impartire solo verbalmente dai superiori, anche dirigenti, i quali tentavano in questo modo di sopperire alle difficoltà e di velocizzare il lavoro per consentire l’espletamento del servizio anche con mezzi ridotti”.

Di tutti questi elementi ha tenuto conto il tribunale che, oltre al reintegro, ha condannato la Rap sia a risarcire i lavoratori gli stipendi non percepiti dal momento del licenziamento per un massimo di dodici mensilità (oltre al pagamento di contributi previdenziali e assistenziali senza sanzioni), sia a liquidare 6 mila euro ciascuno per le spese di lite della fase sommaria e di quella relativa al processo davanti al giudice di lavoro. “Le parole del giudice - conclude Conigliaro - solo marginalmente leniscono i disagi che sono conseguiti da un licenziamento illegittimo che ha gravemente infamato il buon nome del signor Mancuso e lo ha privato di un lavoro e di uno stipendio da ben 4 anni”.

Rap: "Pronti a impugnare il giudizio"

"In merito alla sentenza da parte del giudice del lavoro Paola Marino che ha richiesto il reintegro di 4 operai della Rap dopo i licenziamenti effettuati per giusta causa, l’azienda impugnerà il giudizio – A dichiararlo l’Amministratore Unico della Rap Giuseppe Norata. A seguito di indagini della polizia giudiziaria anche supportate da video e pedinamenti, avvenuti tra aprile 2013 e settembre 2014, alcuni dipendenti hanno illecitamente sottratto carburante e attrezzi di proprietà Rap e su questo non possiamo essere transigenti. L’Azienda nel prendere atto della sentenza ha dato mandato al proprio ufficio legale di fare ricorso in appello. Pur rispettando le sentenze non si può danneggiare l’immagine societaria, dei propri lavoratori e della collettività per pochi che non fanno il loro dovere sottraendo impunemente attrezzature e carburanti al proprio datore di lavoro. Come hanno dimostrato le indagini portate avanti dagli inquirenti, gli stessi erano stati arrestati nell’aprile 2015 proprio perché presi in fragranza di reato”. Secondo l’ufficio legale dell’Azienda che curerà il ricorso, la presente sentenza civile del giudice del lavoro contiene motivazioni non condivisibili emesse in totale autonomia rispetto al procedimento penale in corso smentendo, addirittura, le attività certificate dalla stessa polizia. A sostegno della legittimità dei licenziamenti effettuati da Rap milita la consolidata giurisprudenza della Corte di Appello di Palermo, confermata dalla Corte di Cassazione, che ha ritenuto corretto l’operato societario nei confronti degli altri dipendenti coinvolti in analogo procedimento penale già licenziati per furto di carburante e quant’altro”.

Un caso di omonimia

Gli avvocati Lorenzo Maria Dentici, Luigi Maini Lo Casto e Cinzia Maria Luisa Rizzolo, difensori del signor Di Franco, osservano: “Accogliamo con grande soddisfazione la decisione. La sentenza ha mostrato la fragilità dell’impianto accusatorio della Rap sulla base della sola ordinanza del giudice per l'udienza preliminare. Il giudice del lavoro ha analiticamente messo in luce le lacune della ricostruzione dei fatti operata dall’azienda e segnalato, nel caso del Di Franco, un evidente errore sulla persona derivante dall’omonimia con altro dipendente così come risulta dall’annotazione d’indagine del Commissariato".

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