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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Il "no" al pizzo dei commercianti del Bangladesh, estorsori alla sbarra: 8 condanne

Nel 2016 gli extracomunitari denunciarono i propri aguzzini. Inflitti 60 anni di carcere. Una sola assoluzione. Addiopizzo: "Sentenza storica". Il Sindaco Orlando: "Un esempio civile"

Otto condanne, per un totale di 60 anni di carcere, e una sola assoluzione. Si chiude così il processo agli estorsori dei commercianti bengalesi di Ballarò e via Maqueda, che nel 2016 hanno trovato il coraggio di rompere il muro del silenzio e denunciare i propri aguzzini. Un atto di coraggio che ha permesso agli inquirenti di accertare che la quotidianità dei commercianti extracomunitari era scandita da violenze e atti di razzismo, un quadro che in termini processuali si traduce in "estorsione continuata e aggravata dal metodo mafioso e dalla discriminazione razziale". 

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La condanna più alta è stata inflitta a Emanuele Rubino, che deve scontare 13 anni e 9 mesi di reclusione. E' ritenuto il personaggio chiave della vicenda ed è stato il suo fermo per il tentato omicidio di Yusupha Susso, il gambiano ferito con un colpo d’arma da fuoco alla testa (con condanna arrivata lo scorso anno ndr) a dare un serio impulso alle indagini. Gli altri condannati sono: Giuseppe Rubino a 13 anni, Giacomo Rubino a 3 anni, Santo Rubino a 8 anni, Giovanni Castronovo a 7 anni, Emanuele Campo a 6 anni e 6 mesi, Alfredo Caruso a 5 anni e Carlo Fortuna a 4 anni. L’unico assolto è Vincenzo Centineo, difeso dall’avvocato Roberto Cannata.

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I giudici del collegio presieduto da Daniela Vascellaro hanno riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, da liquidare in altra sede, alle parti civili: il Centro Pio La Torre (assistita dagli avvocati Francesco Cutraro ed Ettore Barcellona), Confindustria, Confesercenti, Confcommercio, il Comune di Palermo, la Federazione delle associazioni antiracket, Sos Impresa e Addiopizzo.

Durante il processo, cinque delle dieci vittime del racket hanno poi riconfermato in aula le accuse, raccontando le vessazioni e le violenze subite. Chi non rispettava le regole imposte dai malviventi rischiava pesanti ritorsioni, che andavano dalle minacce a veri e propri pestaggi.

Per il sindaco Leoluca Orlando "le pesanti condanne inflitte agli esattori del pizzo denunciati dai commercianti di origine bengalese del centro cittadino sono un fatto storico. Da questi commercianti viene un esempio civile, un esempio di coraggio e di intelligente capacità di rispondere alla violenza mafiosa facendo squadra e unendo le forze".

Molti commercianti sono stati assistiti nel percorso di denuncia da Addiopizzo, che oggi parla di "sentenza senza precedenti". "Per la prima volta - dicono dall'associazione - il fenomeno della denuncia collettiva vede coinvolti un cospicuo numero di commercianti di origine straniera, che da tempo vive a Palermo e che abbiamo accompagnato a collaborare e sostenuto dentro e fuori dal processo. Seppure i soggetti condannati non facessero parte della famiglia mafiosa del quartiere, hanno commesso i reati con modalità mafiose e con l’aggravante della discriminazione razziale. Una sequela di fatti e violenze che avevano messo a ferro e fuoco la strada di via Maqueda e il quartiere di Ballarò".

Addipizzo ricorda il difficile passato degli esercenti: "Le storie di alcuni di loro sono incredibili: partiti quindici anni fa dal Bangladesh, dopo un lungo viaggio in mare, sono sbarcati sulle coste siciliane. Hanno aperto attività commerciali, hanno creato famiglie e concepito figli che si sono perfettamente integrati nel territorio. Tre anni fa, alcuni di loro ci contattarono perché vessati da anni da un gruppo criminale: richieste di denaro, minacce, rapine, furti e aggressioni erano all’ordine del giorno. La paura era pressante ed erano costretti a lavorare barricati all’interno delle loro attività e a chiuderle già nel primo pomeriggio perché all’imbrunire in via Maqueda il clima era da coprifuoco. Ci siamo conosciuti, abbiamo condiviso le loro sofferenze, si è instaurato un rapporto di fiducia ed è iniziato in clandestinità – mentre in via Maqueda si sparava in pieno giorno contro altri cittadini di origine straniera – un percorso di denuncia, che a distanza di tre anni ha portato a una sentenza senza precedenti. Perché le organizzazioni criminali non discriminano: basano la loro forza anche sul controllo del territorio e sfruttano tutti allo stesso modo, indifferentemente dal colore della pelle o dal passaporto". 

"Pensiamo - sottolinea l'associazione - che la scelta di denuncia di questi coraggiosi uomini sia un esempio nei confronti di molti che ancora oggi a Palermo e in altre aree del Paese si piegano alle estorsioni e ai condizionamenti mafiosi. Un’esemplare storia di sinergia tra alcuni commercianti di origine straniera, Addiopizzo, Squadra Mobile e Procura di Palermo. Adesso ci auguriamo che l’intera comunità cittadina e le istituzioni sostengano e proteggano questi nostri fratelli che hanno dato alla città di Palermo e al Paese un significativo esempio di civiltà e cittadinanza".
 

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