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Cronaca

La Quaresima in ospedale, l'incubo della turista a Palermo con il Coronavirus da 43 giorni

La donna bergamasca di 66 anni, primo caso in città, è ricoverata al Cervello dal 25 febbraio ed è ancora in attesa di quel tampone negativo che le possa consentire di tornare a casa. Il marito, lui invece guarito, vive in un albergo: "Aspetta con ansia che tutto torni alla normalità"

Quaranta sono i giorni di Quaresima che precedono la Pasqua, quaranta le giornate del diluvio universale, quaranta quelli del digiuno di Cristo nel deserto e altrettanti quelli in cui Gesù risorto è apparso ai suoi apostoli per prepararli alla loro missione. Quarantatré invece quelli di ricovero e quarantena forzata all'ospedale Cervello di Maria (nome di fantasia), la turista bergamasca di 66 anni risultata positiva lo scorso 25 febbraio scorso, primo caso a Palermo, e ancora oggi in attesa che quel tampone dia esito negativo per poter tornare insieme al marito alla sua vita di sempre.

Il numero quaranta è biblicamente usato per indicare un periodo di lotta, passione, fatica e purificazione in vista di un nuovo capitolo nella storia della propria vita. E di quel capitolo da 43 giorni i due turisti bergamaschi atterrati a Palermo con la loro comitiva con quel volo delle 10, scrivono ogni giorno un paragrafo. Quello della donna è stato il primo caso che ha portato la parola Coronavirus in città, quando ancora questa era ai più lontana e sconosciuta. 

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Lui, 72 anni fra pochi mesi, ricorda bene quelle due giornate trascorse intensamente alla scoperta delle meraviglie della città. "Io già la conoscevo - racconta a PalermoToday - ho fatto il servizio militare qui, ma con mia moglie e il resto del gruppo abbiamo visitato tantissimi monumenti. Dalla Cappella Palatina alla Fontana di piazza Pretoria, passando per la Martorana, piazza Marina e la Chiesa di San Lorenzo. Questi giorni sono stati così intensi che quando mia moglie il sabato sera ha iniziato ad accusare stanchezza, credevo fosse dovuto al tour de force. Dopo sei giorni a Palermo avremmo dovuto continuare il nostro iter verso Cefalù, Piazza Armerina e la costa orientale della Sicilia ma il nostro viaggio è stato interrotto da quel maledetto virus". 

Da quel momento, per loro, è iniziato invece un altro viaggio, quello per la vita. "Quei due giorni erano stati molto soleggiati. Quando il virus ha saputo che non potevamo più uscire, il cielo ha iniziato a piangere. Mia moglie - racconta l'uomo, lo chiameremo Giuseppe - nei primi giorni è stata spossata, senza forze ma con una febbre lieve. Dopo il ricovero al Cervello, ha fatto prelievi, tac e fortunatamente il quadro clinico non era particolarmente negativo. Ciò che ti distrugge è la noia e l'attesa. Guarda il soffitto e aspetta con ansia che tutto torni alla normalità, sempre ovviamente con ciò che vuol dire normalità in questo momento". 

Con un sorriso seppur amaro e un po' di ironia, "Giuseppe" racconta del suo soggiorno nel capoluogo che definisce kafkiano. "Io almeno, a differenza di mia moglie che è ricoverata nello stesso posto da più di 40 giorni, ho cambiato 3 luoghi. Dall'hotel Mercure, al Civico all'albergo in cui mi trovo adesso. Anche io sono risultato positivo ma quasi in assenza di sintomi. Un po' di febbre per due giorni ma niente di più. Esami e tac ai polmoni avevano evidenziato che la malattia non era stata aggressiva. Poi i due tamponi negativi. Del gruppo di cui facevamo parte 5 persone sono risultate positive. Due sono già andate via, siamo rimasti noi e un altro concittadino che si trova al San Paolo Palace. Oggi sia io che mia moglie stiamo bene, ma non possiamo andare via finché il suo tampone continua a essere positivo". 

La settimana scorsa per la coppia si era accesa la speranza perché un tampone avrebbe dato esito negativo ma il secondo ha ribadito che non era ancora tempo di andare via. Come confermato dai vertici dell'ospedale Cervello. "Domani ne farà un altro", ci racconta. Lui, architetto in pensione, in attesa di quel momento, trascorre così le giornate a scrivere una sorta di diario di riflessioni su quanto sta vivendo. "Ho già scritto ottanta pagine. Mi servirà in futuro per aiutarmi ad avere un quadro chiaro di questo momento. Trascorro il tempo leggendo, ascoltando musica classica e sentendo più volte al giorno mia moglie e i miei cari che si trovano a Bergamo. Nonostante tutto, ci riteniamo fortunati perché tante persone che conosciamo hanno perso molti cari". 

Così, tra una pagina e l'altra - ricordando le coccole ricevute da medici, giovani infermieri e quanti sono stati loro vicini in questo periodo così difficile tra aperitivi e arancine (sottolineando con forza la vocale al femminile finale) - sognano quel rientro a casa, nella loro Bergamo, pur consapevoli della difficoltà che sta vivendo la loro città. "Siamo entrambi in pensione, ma seppur resteremo in casa fino a quando ci sarà questo maledetto virus, avremo un gran da fare. Io mi diletterò nel mio giardino e mi occuperò di storia e dello studio di un archivio che ho dovuto interrompere. Mia moglie tornerà ad occuparsi delle sue attività di volontariato sociale per chi è in difficoltà. La cosa certa è che non so più da quanto tempo non riesco a dormire. Appena saremo a casa, chiuderemo le finestre, spegneremo i cellulari e dormiremo per tre giorni. Non ci sarà niente di più bello". 

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