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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Tuta, guanti e casco: la giornata di un soccorritore del 118 nella guerra al Coronavirus

Le parole di un autista specializzato in servizio a Palermo: "Siamo quelli che vedete 'sigillati' nelle tute bianche, ogni giorno mettiamo le nostre energie per aiutare chi sta male. Gioiamo per i vostri tamponi negativi, ma rispettateci..."

Prima si indossa la tuta integrale, poi i guanti, il casco. Un collega - anche lui bardato di tutto punto - aiuta a stringere gli indumenti sulle caviglie e sui polsi, poi si calzano gli stivali. Il telefonino viene sigillato in una busta e finisce in una tasca. Gesti sempre uguali, rapidi, perchè anche pochi minuti possono fare la differenza. Poi si sale in ambulanza e si corre da chi ha bisogno di aiuto. Inizia cosi la giornata di un soccorritore del 118 ai tempi del Coronavirus. "Questo è davvero solo l'inizio - racconta a PalermoToday, Stefano Leto autista soccorritore specializzato in servizio con il nucleo operativo Nbcr (Nucleare, biologico, chimico e radiologico) - quando mettiamo in moto in mezzo non sappiamo quando torneremo a casa. Normalmente il 'servizio' finisce quando ci congediamo dal paziente adesso con i Covid-19 abbiamo turni di 24 ore e per ogni singolo caso c'è una lunga procedura: vestizione, svestizione, sanificazione del mezzo. Anche la parola 'casa' per adesso ha un valore diverso per noi che vediamo in faccia il virus tutti i giorni".

Stefano ha 44 anni e un soprannome dato dai colleghi. "Squalo" lo chiamano. "Tutti mi conoscono così - dice aprendosi in una risata che sembra cancellare la stanchezza di queste giornate - perchè voglio fare, voglio sbrigarmi, non perdo tempo quando c'è da aiutare un paziente. E perchè paura non posso averene. Io come i miei colleghi. Ne vediamo tante, ogni giorno. Siamo i primi ad arrivare quando c'è un incidente, una situazione brutta. La paura non possiamo permettercela, però da quando lottiamo contro il Coronvirus sono cambiate tante cose anche per noi".

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Il rapido aumento dei contagi ha portato Stato e Regione (che ha la competenza per la sanità ndr) a rimodulare l'assistenza. Nel giro di poche settimane sono aumentate le ambulanze di biocontenimento sulle strade, sono arrivate le tende pre-triage all'esterno degli ospedali, alcuni nosocomi (Cervello, Civico di Partinico e adesso quello di Cefalù) sono diventati Covid-hospital. "I cambiamenti sono stati tanti - spiega Leto - . Intanto quando la centrale ci indirizza da un paziente ci dice se è un sospetto Covid o se è un positivo accertato. In questi casi scatta la vestizione. Indossiamo la tuta bianca che anche i cittadini hanno imparato a riconoscere... non passiamo inosservati. Non possiamo metterla da soli. In pratica un collega ci 'sigilla'. Arriviamo dal paziente, lo visitiamo e se il caso lo portiamo in ospedale. Poi si torna in centrale. Un altro collega ci aiuta a togliere la tuta, che viene smaltita secondo procedura. Non possiamo toccarla o toccare qualcosa con i guanti che abbiamo indossato. Poi sanifichiamo il mezzo. Non è proprio una procedura breve: sono tre cicli da 25 minuti. Abbiamo un solo sanificatore perchè uno è rotto e attendiamo che lo sostituiscano. Capita però che siamo anche tre o quattro squadre a dovere seguire questo iter in contemporanea".

Una procedura che si ripete dopo ogni paziente. "Non possiamo laciare un sospetto o un positivo e poi andare subito da un altro paziente, lo esporremmo al rischio di contagio", sottolinea Stefano.

E, in piccolo, lo stesso avviene anche a casa. "Casa? - dice 'lo squalo' all'altro capo del telefono... - nella mia non metto piede da fine febbraio. Ho una seconda casa e torno lì a dormire. Non metto in pericolo i miei genitori. Quando torno metto i vestiti in lavatrice con la candeggina, mi faccio la doccia, lo schampoo, e poi pulisco a terra. I miei genitori? Passo davanti casa e ci salutiamo dalla finestra. Io sono esposto al contagio tutti i giorni... cerco di preservare loro. Per i colleghi che stanno in casa con la famiglia o i figli è difficile... i sacrifici che facciamo sono tanti".

stefano leto 3-2"Anche i motivi per cui sorridiamo sono cambiati - aggiunge - prima si gioiva di cose materiali, banalità. Adesso la gioia è un tampone negativo. Di un paziente, di un collega. Ho sempre apprezzato la vita facendo questo lavoro, ma adesso che c'è un nemico invisibile, che non sai dove e quando può colpire, godi ancora di più delle piccole cose".

"Per adesso noi facciamo turni di 24 ore - racconta Stefano - . Il 118 c'è, funziona, è presente come è sempre stato. Siamo una famiglia che lavora senza risparmiarsi. Ci esponiamo al rischio perchè amiamo aiutare ed essere utili. Ci serve però che le mascherine, i guanti, le tute, arrivino con più continuità. Sappiamo che non è un problema locale, ma nazionale. E' vitale essere messi nelle condizioni di lavorare. Solo se siamo protetti possiamo entrare nelle case di chi ha più bisogno. Io aspetto ancora un termometro. Avete idea di cosa significa non potere misurare la temperatura di un paziente in questo periodo?".

Poi ci sono problemi "indiretti", legati anche all'atteggiamento dei cittadini. "Alcune volte le persone non dicono di avere la febbre, uno dei sintomi principali dell'infezione da Covid-19 - spiega Stefano - non è un dettaglio per noi. Serve alla centrale per uno primo screening, serve a noi per capire che protezioni indossare. Nei giorni scorsi siamo andati a casa di una paziente che aveva detto di non avere febbre, noi non abbiamo potuto verificare se era vero. In ospedale abbiamo scoperto che la temperatura era attorno ai 38. Questo, unito ad alti sintomi, ha portato a sottoporla al tampone. Per fortuna negativo. Ma fino a che non abbiamo avuto l'esito la mia squadra è stata in isolamento. E' stato un sollievo quando ci hanno comunicato che il tampone della signora era negativo..."

"Sono fiducioso - sottolinea Leto - tutti insieme supereremo questa emergenza. Però spero che le istituzioni capiscano l'importanza dell'autista soccorritore, ancora non riconosciuto e valorizzato. Spero ci riconoscano delle indennità. Sarebbe bello invece avere più collaborazione da parte dei cittadini. Quando ci chiamano, ma anche quando si impongono loro dei limiti. Il virus si ferma se rispettiamo poche regole. La situazione sta timidamente migliorando, serve però che lavoriamo tutti nella stessa direzione. Forse non tutti hanno capito che di Covid-19 si può anche morire, forse chi ancora esce e infrange le regole non ha pianto abbastanza o non ha visto piangere abbastanza... ". Non è però la sola richiesta ai pazienti. "Noi - conclude - siamo gli stessi che spesso vengono aggrediti, insultati, picchiati. Siamo gli stessi che vengono accusati per primi se un paziente muore. Siamo quelli che diamo fastidio se abbiamo la sirena accesa eppure mi sembra chiaro che non la accendiamo per gioco. Ecco, sarebbe bello se i cittadini rispettassero di più il nostro lavoro anche una volta passata l'emergenza... ".
 

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