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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

L'omaggio di Palermo al segugio dei boss: "Ievolella ucciso per aver fatto il proprio dovere"

Così il maresciallo assassinato 38 anni fa è stato ricordato dal comandante della legione carabinieri Sicilia, Giovanni Cataldo. Deposta una corona d’alloro sulla lapide a lui dedicata in piazza Principe di Camporeale e una messa, officiata da Don Salvatore Falzone, nella chiesa di Santa Maria Maddalena

Una corona d’alloro sulla lapide a lui dedicata in piazza Principe di Camporeale e una messa, officiata da Don Salvatore Falzone, nella chiesa di Santa Maria Maddalena collocata all’interno della caserma “Carlo Alberto Dalla Chiesa” sede del Comando legione carabinieri Sicilia. Così oggi Palermo ha ricordato il maresciallo dei carabinieri Vito Ievolella, ucciso dalla mafia 38 anni fa. "Un eroe - così il comandante della legione carabinieri Sicilia, Giovanni Cataldo al termine della cerimonia religiosa ha ricordato il maresciallo - ucciso per aver compiuto il proprio dovere fino in fondo. Un esempio di spirito di servizio, distintosi per le sue capacità professionali e acume investigativo. Ievolella è stato colpito dalla mafia perché aveva compreso le dinamiche criminali volte a incrementare gli illeciti profitti della criminalità organizzata. Il maresciallo - ha concluso - sapeva che andando a contrastare le spartizioni che governavano la criminalità organizzata rischiava, ma non si è fermato, riaffermando così il senso del dovere. Lo spirito che ci deve animare è quello di riaffermare i nostri doveri, tutelando automaticamente i diritti altrui, per poter essere sicuri di aver fatto ciò per il quale siamo chiamati a prestare la nostra attività”.

Alla cerimonia erano presenti la figlia Lucia Assunta Ievolella; Giovanni Cataldo, comandante della legione carabinieri Sicilia; il vice prefetto vicario Daniela Lupo; il questore Renato CorteseO; Antonio Nicola Quintavalle, comandante provinciale della Guardia di Finanza; Riccardo Rapanoti, comandante regionale della Guardia di Finanza; Claudio Minghetti, comandante militare dell’Esercito in Sicilia; Arturo Guarino comandante provinciale carabinieri di Palermo; Matteo Frasca, presidente della Corte d’Appello; il vice presidente della regione Gaetano Armao; il vice sindaco Fabio Giambrone; oltre ad alte Autorità cittadine e rappresentanze dell’Associazione nazionale carabinieri in congedo.

L'omicidio 

Il 10 settembre 1981, Vito Ievolella, si trovava a bordo della propria autovettura Fiat 128 con la moglie Iolanda, nell’attesa della figlia Lucia, impegnata in una lezione di scuola guida, quando fu freddato da sicari di Cosa nostra in piazza Principe di Camporeale. All’agguato parteciparono quattro killer mafiosi armati di pistole calibro 7,65 e fucili caricati a pallettoni, che giunti a bordo di una Fiat Ritmo, risultata poi rubata, che scesi dall’autovettura fecero fuoco in direzione del maresciallo Ievolella. La moglie riportò una leggera ferita alla regione sopraccigliare destra. Il mezzo usato dai killer fu dato alle fiamme e quindi abbandonato in via Caruso dove fu ritrovato dai carabinieri.

Fu chiaro immediatamente che l’assassinio del maresciallo Ievolella era da inquadrare in un programma mafioso teso all’eliminazione di quanti si opponessero all’espansione degli interessi criminali. Ievolella era molto noto negli ambienti investigativi dell’arma e tra i magistrati per le sue capacità professionali, per l’impegno investigativo e per la determinazione nel fare luce, tanto sul delitto comune, quanto su quello mafioso. Prestava servizio a Palermo dalla sua nomina a vicebrigadiere, prima presso le stazioni di Palermo Duomo e Palermo Centro e dal 1965 presso il Nucleo investigativo del gruppo di Palermo. Il valore e l’impegno nell’attività investigativa, gli erano valsi sette encomi solenni e quattordici lettere di apprezzamento del comandante generale dell’Arma. Da parte della stampa, aveva ricevuto appellativi come “segugio temuto dai boss” e “specialista in casi difficili”.

Al Maresciallo Ievolella, il Capo dello Stato ha concesso la medaglia d’oro al valore civile con la seguente motivazione: “Addetto a Nucleo Operativo di Gruppo, pur consapevole dei rischi a cui si esponeva, si impegnava con infaticabile slancio ed assoluta dedizione al dovere in prolungate e difficili indagini – rese ancora più ardue dall’ambiente caratterizzato da tradizionale omertà - che portavano all’arresto di numerosi e pericolosi aderenti ad organizzazioni mafiose. Proditoriamente fatto segno a colpi d’arma da fuoco in un vile agguato tesogli da quattro malfattori, immolava la vita ai più nobili ideali di giustizia e di grande eroismo”.
 

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