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Cronaca

Bullismo a scuola, criticò decisione del pm: condannato attivista gay

Si tratta di Vincenzo Rao, dell'associazione "Articolo 3". Il pubblico ministero Ambrogio Cartosio, dopo aver impugnato la sentenza di assoluzione dell'insegnante, si imbatté nell'articolo dell'attivista che lo criticava e lo considerò "diffamatorio"

Attivista gay condannato per una comunicazione ritenuta "diffamatoria" nei confronti di un pm e della sua sentenza. L'Arcigay Palermo manifesta la propria solidarietà a Vincenzo Rao, del movimento Lgbt palermitano, per la decisione confermata dalla Corte d'Appello di Caltanissetta lo scorso 17 marzo. All'origine di un esito processuale considerato "inatteso", le dichiarazioni fatte da Rao all'indomani della decisione del pm Ambrogio Cartosio di impugnare la sentenza di assoluzione in primo grado di quell'insegnante palermitana che aveva "punito" un suo alunno, protagonista di atti di bullismo omofobico nei confronti di un suo compagno.

I fatti risalgono al 2007. La professoressa di una scuola media statale palermitana, Giuseppa V., aveva punito un suo alunno di 11 anni che si era reso responsabile di diverse offese omofobe a un compagno. E così aveva deciso di fargli scrivere cento volte "sono un deficiente" sul proprio quaderno. Per questa ragione l'insegnante era stata punita con 15 giorni di reclusione, secondo quanto confermato dalla Cassazione in merito alla condanna ottenuta in Appello. Non trovandosi d'accordo, l'attivista Rao aveva commentato la questione tramite un comunicato stampa nel quale, pochi giorni dopo, si imbatté il pm Ambrogio Cartosio.

Il pubblico ministero considerò diffamatorio l'articolo scritto da Rao a firma di "Articolo 3". La critica all'impugnazione di Cartosio segnò l'inizio di un vero e proprio "incubo giudiziario". La condanna nei confronti di Vincenzo, che in primo grado era stata di quattro mesi di carcere, è stata ridotta a circa mille euro dalla corte di Appello di Caltanissetta, più spese legali e risarcimento danni. "A prescindere dalla sanzione inflitta nei due gradi di giudizio - si legge sul sito di Arcigay - emergerebbe un dato preoccupante dalla conferma della sentenza di primo grado: cioè che un atto giudiziario non potrà essere commentato e criticato, anche con toni sferzanti e pungenti".

"Come associazione - proseguono - non possiamo che difendere con forza la libertà di parola, di opinione e il diritto di critica. Come d’altronde si leggeva nello stesso comunicato, non si contestava affatto il diritto di Appello alla sentenza di assoluzione di primo grado dell’insegnante palermitana, ma esclusivamente i toni utilizzati e certe considerazioni come quella secondo la quale dare del 'frocio' ad un compagno di scuola o definirne la madre con termini assimilabili alla prostituzione - concludono - non sarebbero da ritenersi atteggiamenti di bullismo, ma al massimo non 'commendevoli' espressioni confidenziali in voga tra compagni di scuola".

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