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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Si ribellò ai "signori delle discariche", ex assessore assolto: "Non diffamò i Catanzaro"

Le denunce di Nicolò Marino sarebbero servite ad accendere i riflettori sul business dei rifiuti in Sicilia. Le pressioni della politica e dei big di Confindustria: "Sistema in mano a 4 privati - disse - che utilizzano il biglietto da visita dell'antimafia"

Nessun caso di diffamazione ma solo un esercizio di critica politica che sarebbe servito ad accendere i fari sui contorti meccanismi della gestione dei rifiuti in Sicilia e sul business dell’immondizia. Il giudice monocratico Marina Petruzzella ha assolto l’ex assessore regionale Niccolò Marino dopo la querela sporta da Giuseppe Catanzaro per diffamazione. Ribaltata dunque la sentenza del giudice di pace del 2016 che lo aveva condannato a una multa da 500 euro e al pagamento di un risarcimento danni da 5 mila euro per Lorenzo Catanzaro.

Tutto ha inizio dopo una riunione sindacale del 19 novembre 2013 nei locali dell’assessorato regionale all’Energia. Il socio della Catanzaro costruzioni srl e allora vicepresidente di Confindustria Sicilia sosteneva che la sua immagine e quella del fratello Lorenzo fossero state danneggiate da una dichiarazione riportata in una relazione riassuntiva sottoscritta e inviata da Giovanni Catalano e Giuseppe Todaro, due componenti della stessa associazione degli industriali. Secondo quanto trascritto nella nota poi finita al centro della querela l'ex assessore Marino avrebbe detto in quella riunione che “negli ultimi 12 mesi si sta cercando di mettere ordine in un settore fortemente condizionato da scelte errate e procedure del passato, come nel caso dei termovalorizzatori, che ha visto come protagonisti uomini di Confindustria, come Catanzaro, che ha fatto anche da prestanome di Provenzano”.

I documenti integrali della Commissione parlamentare

Se da una parte aveva ritenuto attendibili i testi convocati in aula, nonostante la loro “vicinanza” al vicepresidente di Confindustria Sicilia, il giudice di pace non avrebbe fatto lo stesso con Marino e non avrebbe tenuto conto dei “non ricordo” sentiti durante il processo. “Non ho citato i Catanzaro. Il riferimento - aveva precisato l’ex assessore - era comunque a Giuseppe Catanzaro, mai citato espressamente, che si era aggiudicato una gara con soggetti arrestati per mafia. Non ho mai detto che i Catanzaro hanno fatto da prestanome a Provenzano”. Fra le preoccupazioni di Marino il confitto d’interessi dei Catanzaro, che gestiscono la discarica di Siculiana. “In quella riunione ho criticato il fatto che la nota di Confindustria, pervenuta alla Camera e al Senato, era stata firmata da Giuseppe Catanzaro, che aveva un interesse al mantenimento della gestione di una discarica affidata a Siculiana, in luogo di quella pubblica, come già avevo detto al senatore Lumia”.

Nelle motivazioni il giudice della terza sezione ha ricostruito il contesto in cui è stata pronunciata la fase incriminata, sottolineando come uno dei firmatari della relazione arrivata Catanzaro avesse ammesso che la dichiarazione era legata all’aggiudicazione di una gara e che il nome di Provenzano era stato pronunciato da Marino in riferimento a quell’appalto. “Non accetto lezioni di legalità”, aveva detto l’ex assessore nonché magistrato pensando all’inchiesta “Trash” e all’arresto di Massimo Tronci (direttore generale di Forni ed impianti spa) per associazione a delinquere di stampo mafioso e e che sarebbe risultato in affari, tra gli altri, con Totò Riina e Giovanni Brusca.

In quegli stessi giorni, scrive il giudice Petruzzella, Marino era stato “convocato in un albergo a Catania ed era stato sollecitato senza mezzi termini da Antonello Montante (condannato in primo grado a 14 anni per associazione a delinquere, corruzione, favoreggiamento e rivelazione di notizie riservate, ndr) a lasciare stare Catanzaro e tutto ciò alla presenza del senatore Giuseppe Lumia. Successivamente Marino aveva preso più apertamente a denunciare anche in sedi istituzionali quanto era a sua conoscenza su deviazioni nell’ambito degli interessi privati portati avanti da Confindustria e da Montante. Dopo qualche tempo dalla pubblicazione delle sue accuse i vertici di Confindustria avevano proposto una denuncia per associazione a delinquere e calunnia nei confronti di Marino utilizzando come unica fonte di prova un esposto anonimo”.

Dunque niente diffamazione, solo diritto di critica motivato dall'allarme sociale costituito dal tema rifiuti. D'altro canto l’ex assessore non ha mai nascosto le sue preoccupazioni. “Il sistema dei rifiuti in Sicilia è sempre in mano alle stesse persone”, diceva. E alcuni di queste lo avrebbero fatto e continuerebbero a farlo utilizzando il biglietto da visita dell’antimafia. “Il problema principale - spiegava in un’intervista a La Sicilia - è determinato dal conferimento del 90% dei rifiuti in discarica e da una concentrazione della gestione in mano a 4 soggetti privati che si è concretizzata nel 2009”. Per cercare di mettere ordine nella materia Marino aveva infatti deciso di spostare le competenza sulll’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) dall’assessorato Ambiente e territorio all’Energia.

In quel momento storico, tra l’emergenza rifiuti e la “dipendenza” dalle discariche, si inserisce l’inchiesta “Terra mia” condotta dalla Squadra Mobile di Palermo che si è conclusa nell’estate del 2014 con l’arresto di cinque persone: il funzionario regionale Gianfranco Cannova e quattro imprenditori. Si tratta del catanese Domenico Proto (48 anni) titolare della discarica "Oikos" di Motta Sant'Anastasia (Catania), dei fratelli agrigentini Calogero e Nicolò Sodano (54 e 53 anni) titolari della discarica "Soambiente" di Agrigento, e il novarese Giuseppe Antonioli (53), amministratore delegato della discarica di Mazzarrà Sant'Andrea (Messina). Sotto la lente le autorizzazioni e i procedimenti amministrativi che avrebbero consentito l’ampliamento delle discariche.

Le conferme ai sospetti degli investigatori sui “signori delle discariche” e sul dipendente pubblico hanno trovato riscontro nelle condanne per corruzione stabilite dal tribunale di Palermo a luglio scorso: 9 anni a Cannova, 6 a Proto, 4 ai fratelli Sodano e all’imprenditore piemontese Antonioli. Secondo la Corte hanno riempito di mazzette il funzionario che in cambio si sarebbe messo a loro disposizione, ottenendo per loro corsie preferenziali per garantire gli interessi milionari che ruotano attorno al business dei rifiuti. Come? Aiutandoli a superare gli intoppi burocratici, coprendo le anomalie e segnalando in anticipo anche eventuali sopralluoghi da parte delle forze dell’ordine o dei tecnici dell’Arpa. Un “circuito vizioso”, quello tra pubblico e privato, interrotto anche grazie alle denunce dei cittadini e di pochi sindaci che non volevano vedere le discariche arrivare a 500 metri da casa loro.

Significativo quanto dichiarato nel 2014 dal procuratore aggiunto della Procura di Palermo Salvatore De Luca durante un’audizione davanti alla commissione parlamentare sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali a essi connessi. "Dagli atti a nostra disposizione - dichiarava l'aggiunto - emerge che l’attuale sistema di gestione del ciclo dei rifiuti in Sicilia è assai carente. Lo definirei disastroso, ma non voglio osare. Abbiamo gravi elementi, in alcuni casi sentenze di primo grado, per affermare che né le discariche pubbliche (le chiamo così, anche se in realtà non sono pubbliche), come quella di Bellolampo, né le discariche private in molti casi sono a norma di legge. Purtroppo l’intervento della magistratura e in seguito della pubblica amministrazione avviene a buoi scappati”.

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