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Storia dell'illuminazione a Palermo (parte I): quando il Senato accese le luci al Cassaro

Nel medioevo e fino a parte del Settecento dopo il tramonto tutti a casa (escluse forze dell'ordine e prostitute), la svolta luminosa nel 1745 quando si decise di fare fabbricare dei fanali ad olio da posizionare sul Cassaro...

Nel passato andare a spasso di notte era rischioso, non che adesso non lo sia. Ma prima il pericolo era legato anche al fatto che tutto era buio, esclusi i giorni di plenilunio. Tutta la città di Palermo, di notte era al buio, diversamente da oggi in cui il buio a Palermo si manifesta a macchia di leopardo, a seconda delle zone e dei giorni!

Nel medioevo e fino a parte del Settecento, ad una certa ora, poco dopo il tramonto, suonavano le campane delle torri civiche. Cinquantadue interminabili rintocchi, la cosiddetta “castiddana”, che annunciavano che la giornata era finita. Tutti a casa, tranne forze dell’ordine, prostitute e coloro che avevano uno speciale permesso, e che potevano andare in giro per la città di notte. I temerari che si aggiravano nelle ore notturne usavano i cosiddetti “Lampinueddi”, piccoli lanternini, usati per scansare buche, anche in passato sempre abbondanti a Palermo, e ladri. I lanternini venivano costruiti dagli stagnatari che avevano le loro botteghe in via e vicolo Lampionelli, ancora oggi esistenti, in zona Maqueda, tra via Divisi ala via Giardinaccio.

La svolta luminosa si ebbe nell’aprile del 1745, quando il Senato di Palermo, ritrovandosi degli avanzi di bilancio, decise di fare fabbricare dei fanali ad olio da posizionare sul Cassaro, ed in quello splendido aprile fu la luce, almeno in prossimità dei Quattro Canti. La cosa apparve così utile e piacque tanto che, nel giro di breve tempo, furono aggiunti altri 250 lampioni e fu addirittura creata una “suprema giunta perpetua” con l'obiettivo di estendere l'illuminazione a tutta la città, per lo meno a quella dentro le mura. Chiaramente una volta assaporata la bellezza della luce artificiale, i palermitani pensarono subito alle luminarie. E già tre anni dopo, nel 1748, in occasione della Natività della Beata Vergine, la vigilia dell’8 settembre, tutto il Cassaro, dal Mare a Porta Felice, venne solennemente illuminato con oltre ottocento fanali per celebrare la Vergine.

Certo fu necessario anche preservare i fanali, con un regolamento che ne punisse chi li danneggiava o li rubava. E così chi recava danno o rompeva o rubava i preziosi fanali poteva essere punito con 20 frustate da parte del boia ed un anno di carcere! Per un principio di emulazione virtuosa, a Palermo correttamente chiamata invidia (per la storia dell’invidia a Palermo clicca qui) e per dimostrare che non fossero da meno del Senato palermitano, i nobili provvidero a curare l’illuminazione davanti i portoni dei loro palazzi e, spesso, anche nel perimetro dei loro edifici. Accrescendo così la luminosità delle strade e, a seconda anche di quanto avevano speso in luminarie, anche il loro prestigio! Il numero dei fanali crebbe seppur lentamente per circa un secolo. Nel 1857, quindi in pieno periodo borbonico, i fanali pubblici esistenti in città erano circa 1.500, con un consumo di olio di quasi mille quintali all’anno! I fanali venivano tenuti spenti nelle notti di luna piena, per un totale di circa 270 giorni di illuminazione artificiale all’anno.

Ma la verità era che l’illuminazione ad olio era destinata a cedere il passo a quella a gas. Nelle grandi città d’Europa, con cui Palermo non aveva mai smesso di rivaleggiare in grandezza, si cominciava ad usare l’illuminazione a gas, più potente e comoda. Nel 1845, ben 44 fanali a gas rischiararono il Foro Borbonico, attuale Foro Italico, facendo di Palermo la seconda città d'Italia a illuminarsi a gas, subito  dopo Milano che aveva inaugurato il nuovo metodo di illuminazione appena due anni prima. Dopo i torbidi del 1848 ci fu una battuta d'arresto, e un appalto per una illuminazione a gas venne stipulato solo nel 1857. Purtroppo, però,  una serie di contenziosi tra l’aggiudicatario ed il comune fece si che le cose si trascinassero per alcuni anni. Il contratto venne definitivamente firmato solo nel 1859, ma di fatto divenne operativo solo dopo l'unità d’Italia!! Tuttavia, nessuno può dire che sotto i Borbone si stesse al buio, almeno a Palermo.

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Il Gas a Palermo veniva prodotto in uno stabilimento in via Tiro a Segno, costruito nel 1861 e gestito dalla società francese Favier, che però  nel 1898 venne ceduta alla Società italiana per il Gas, per poco tempo. Infatti, nel 1906, il  Comune di Palermo acquistò questa Società sancendo la nascita dell’Azienda Municipalizzata del Gas, per il cui finanziamento emise anche seimila obbligazioni da 250 lire e, contemporaneamente, effettuò investimenti sotto forma di opere di miglioramento degli impianti. In Italia, quello dell’Amg, fu uno dei primissimi esempi di azienda municipalizzata.

Tanto i fanali a olio che quelli a gas venivano accesi e spenti, ad uno ad uno, dai cosiddetti “lampiunari”, che si aggiravano all'alba ed al tramonto tra le luci di loro competenza. Nota positiva, i lampioni posti nelle pubbliche vie venivano realizzati in fonderie palermitane, spesso con fogge o disegni belli e molto elaborati. Tra le fonderie si distinsero senz'altro la fonderia Oretea, che aveva realizzato le lampade del foro Borbonico nel 1845, e anche quella di Vincenzo di Maggio. Quest’ultimo continuò a fabbricare, e dunque a dare lavoro, anche durante l’epidemia di colera che colpì Palermo nel 1885, diversamente da molte altre aziende che durante la pandemia avevano chiuso la loro attività produttiva (continua nella prossima puntata sull’illuminazione elettrica).

(Fine prima parte)

Storia dell'illuminazione a Palermo (parte I): quando il Senato accese le luci al Cassaro

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