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Corna, cornuti e donne “allegre” a Palermo dall’antichità a oggi

Secondo la tradizione ferire nell’onore un siciliano equivale a farselo nemico per sempre. La parolaccia “cuinnutu” resta per noi, anche se meno di prima, una delle peggiori con cui ci possano apostrofare

Diciamo subito che non sappiamo con sicurezza perché si usi, in questo senso evidentemente figurato, la parola cornuto per indicare un uomo tradito. Le spiegazioni possibili sono tante, tutte belle, ma nessuna certa. Ve ne racconto alcune tra le più interessanti. Il primo libro ad associare le corna al tradimento è di duemila anni fa, del I secolo avanti Cristo, scritto in greco da Artemidoro. Era testo un sull’interpretazione dei sogni dall’accattivante titolo onirocritica. Alcuni studiosi, però, pensano che il testo originario non facesse alcuna allusione al binomio corna/tradimento, che sia stato aggiunto successivamente, forse da qualche “buontempone” medievale! Circa mille anni dopo, uno scrittore Bizantino, di nome Michele Psello, (tranquilli, non ho dimenticato nessuna i nel suo cognome), scrisse un libriccino dal titolo “origine del nome cornuto”. In questo caso, la spiegazione fornita per l’uso del termine era che l’uomo tradito veniva chiamato cornuto perché gli animali forniti di corna sarebbero particolarmente tolleranti ogni qual volta la propria compagna si accompagnava ad altri maschi!

Ma tutto potrebbe avere avuto origine dal mito del Minotauro. Poseidone, dio del mare, aveva fatto dono a Minosse, re di Creta, di un bellissimo toro, che doveva essere sacrificato agli dei. Tuttavia Minosse, abbagliato dalla straordinaria bellezza dell’animale, non lo voleva ammazzare e decise di sacrificarne un altro al suo posto, pensando di passarla liscia! Questo fece arrabbiare l’incazzosissimo Poseidone, che pensò di vendicarsi. E quando gli dei greci si vendicavano, erano davvero perfidi. Il dio del mare fece follemente innamorare la moglie del re, la bella Pasifae, dello splendido toro donato al marito. Dall’unione abominevole tra Pasifae e il toro nacque Minotauro, mezzo uomo e mezzo toro. Da quel giorno, però, gli impietosi abitanti di Creta presero l’abitudine di salutare il re Minosse con il segno delle corna, per ricordargli la scappatella della moglie con il toro! O forse, invece, il modo di dire risale ai vichinghi, che notoriamente indossavano elmi con corna di toro. Costoro, impegnati in lunghe navigazioni, mancavano per molto tempo dalle loro case, lasciando le loro compagnie da sole che, di tanto in tanto trovavano modi, e soprattutto uomini, alternativi per svagarsi.

Ma torniamo alle corna, pardon ai fatti di casa nostra. Secondo la tradizione ferire nell’onore un siciliano equivale a farselo nemico per sempre. Ed effettivamente la parolaccia “cuinnutu” resta per noi, anche se meno di prima, una delle peggiori con cui ci possano apostrofare. Il corrispettivo omologo offensivo al femminile è invece buttana, parola che viene dal latino putere, cioè puzzare. Eppure l’onorabilità delle siciliane non è stata sempre cristallina. Uno dei luoghi di culto mediterranei più famosi nell’antichità era Erice, dove si trovava il santuario di Venere Ericina, meta di continui pellegrinaggi. Le sacerdotesse di questo tempio erano solite praticare la prostituzione sacra, offrendosi a tutti coloro che facevano offerte al tempio. Soprattutto offerte cospicue! Di solito marinai che sbarcavano a Trapani e poi salivano al tempio per sciogliere un voto, e non solo quello! L’accoglienza dei pellegrini era preceduta dalla liberazione in volo di colombe, che erano dunque il simbolo del culto di Venere Ericina. Con l’avanzare del cristianesimo, e il conseguente indebolimento del paganesimo, questo culto venne gradualmente censurato, e identificato come il rito delle “colombine”, chiamate in gergo siculo “culumbrine” per indicare proprio le prostitute, con un senso che di sacro non aveva più nulla.

Spostiamoci un po avanti nel tempo. Boccaccio ambienta a Palermo una delle sue novelle erotiche più raffinate. Si tratta della storia di un mercante fiorentino, Niccolò da Cignano, che si imbatte in una splendida etera siciliana (oggi diremmo escort) Madonna Biancofiore, che professava a Palermo. E la premessa di Boccaccio alla Novella è chiara e un po’ cruda: in Cicilia, dove similmente erano, e ancor sono, assai femmine del corpo bellissime ma nimiche della onestà le quali, da chi non le conosce, sarebbeno e son tenute grandi e onestissime donne. Alcune delle scene di questa novella del Decameron si svolgono all’interno di un bagno pubblico, luogo di pulizia a anche di peccato, che a Palermo, sulla scorta della tradizione islamica, erano ancora abbastanza diffusi nel 1300. Ma anche in un’altra novella, quella di Andreuccio da Perugia, la protagonista è una prostituta siciliana, questa volta che lavorava a Napoli: una giovane ciciliana bellissima, ma disposta per piccol pregio a compiacere a qualunque uomo. Una bellezza low cost, oseremmo dire!

Anche il famoso caso della baronessa di Carini, pur nella difficoltà di arrivare a una ricostruzione storica certa, nasce per un problema di corna. Ma in questo caso non sarà il marito cornuto a vendicare il tradimento, quanto il padre della scostumata, o presunta tale. E si perché i mariti avevano comunque già i loro passatempi alternativi (caccia e femmine) e purchè la cosa non fosse nota al pubblico, o comunque oggetto di eccessive attenzioni, era sostanzialmente tollerata. E infatti, fu Cesare Lanza, padre cattivissimo di Laura a porre fine alla esistenza della giovane baronessa. Anche se il sospetto che dietro le corna si nascondessero anche delle vicende di terre non si è mai sopito.

Qualcosa di simile, e questa volta è il suocero a mettersi di mezzo, sarebbe accaduto successivamente, alla bella Eufrosina, che era l’amante preferita del viceré Marco Antonio Colonna. Appena ventenne, Eufrosina Siragusa, baronessa di Miserendino (quindi non una popolana qualsiasi) divenne l' ossessione del viceré, già quarantaquattrenne. Il corteggiamento iniziò durante i ricevimenti a Palazzo Reale e nelle cerimonie ufficiali. Poi seguirono gli appassionati incontri segreti, approfittando dell' assenza del giovane marito cornuto, probabilmente accondiscendente data l’importanza dell’amante della moglie, don Calcerano Corbera, prima spada del regno. La voce però giunse anche alle orecchie del papà del becco (letteralmente il maschio della Capra e quindi con le corna anche lui!), il Marchese Don Antonio, uomo di rigorosi principi, che non poteva tollerare questa situazione. Marcantonio, avvertito del possibile pericolo dalla stessa Eufrosina, fece rinchiudere il barone nel Castello a mare di Palermo, arrestato per i grossi debiti che aveva contratto per la fondazione del villaggio di Santa Margherita Belice. In carcere il barone morì improvvisamente, in preda agli spasimi causati dal veleno. Difficilmente è ipotizzabile un suo suicidio. Ma per evitare rogne future, e vendette imprevedibili,  anche il marito di Eufrosina fu tolto di mezzo. Inviato a Malta per difenderla da una possibile invasione turca, finì lì i suoi giorni a causa di molte coltellate in una imboscata. La storia finisce malissimo con la morte dello stesso Marco Antonio Colonna, alla fine, anche di Eufrosina che, giustamente, Leonardo Sciascia chiama la farfalla di morte.

Nel 1881 Palermo era la quinta città d’Italia per popolazione (245.000) ma seconda in quanto a rapporto tra abitanti e prostitute regolarmente iscritte all’albo professionale. Con le sue 393 prostitute censite in città aveva un tasso di 1,2 meretrici per 1.000 abitanti, seconda solo a Napoli che aveva un tasso di 2 ogni mille, mentre a Torino o Milano il numero delle donnine era bassissimo. Città del nord che o erano abitate da uomini di grande virtù o da prostitute che lavoravano in nero! E nei primi del 900 un delegato di polizia, Antonino Cutrera scrisse un libro sulla storia della prostituzione in Sicilia. Permettetemi una nota a margine: questo intelligente poliziotto di fine ’800, non fece mai carriera e fu anzi oggetto di mobbing continuo da parte della sua amministrazione. Troppo bravo e troppo attento a quello che aveva attorno, non fu mai gradito ai suoi superiori perché diceva e soprattutto scriveva cose scomode sulla Sicilia. Nonostante le sue indubbie doti professionali e letterarie: non per niente il suo sogno sarebbe stato di fare il maestro elementare!

Per concludere con l’attualità, un paio di anni fa un sito popolato da donne di età compresa tra i 30 e 40 anni, tutte rigorosamente sposate e alla ricerca di incontri osé  (gledeen.com: aspettate di finire l’articolo prima precipitarvi a vistare il sito per favore!) affermava che il numero delle siciliane iscritte al sito fosse cospicuo, oltre 15 mila. Ma che la maggior parte di queste donne provenisse da Catania, scherzosamente definita dai giornali, proprio per questa ragione, la capitale dei cornuti. Settemila iscritte all’ombra del vulcano contro le sole 6.000 di Palermo!
Comunque ricordate che l’onore è sempre l’onore… anche quando ha un prezzo di mercato.

Igor Gelarda, storico morigerato (Pagina Facebook: https://www.facebook.com/Igor-Gelarda-911961728894076/?ref=hl=)

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