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Giovedì, 28 Marzo 2024

Francesco Genova, il carinese emigrato a Detroit che la moglie rivide solo in foto... da morto

Le fotografie post mortem erano qualcosa di abbastanza diffuso, a partire dalla metà dell’Ottocento. La storia di un contadino della provincia di Palermo che andò in cerca di fortuna negli Usa, dove morì per colpa di un virus...

Questa è la foto di Francesco Genova, classe 1888. Anzi, questa è la foto del cadavere di Francesco Genova. Forse è ancora di più di una semplice foto, è tutto quello che di Francesco è rimasto alla moglie Filomena ed ai due figli. Piccolissimi, che aveva lasciato a Villagrazia di Carini quando era partito: Giuseppe di 2 anni e Salvatore di appena 7 mesi. Per andare in America, a Detroit.

Le fotografie post mortem erano qualcosa di abbastanza diffuso, a partire dalla metà dell’Ottocento, specialmente nell’Inghilterra vittoriana, con sconfinamenti abbondanti negli Usa e utilizzi meno diffusi, ma non del tutto insoliti, anche in altri stati europei. Italia compresa. Servivano per conservare il ricordo di un caro che non si sarebbe più rivisto su questa terra. Ad essere ritratti più frequentemente erano purtroppo proprio i bambini che, a causa dell’impressionante mortalità infantile del passato, erano i più esposti a tutto: problemi al parto, malattie infettive, denutrizione e incidenti domestici, con tassi di mortalità fino al 35 per cento alla fine dell’Ottocento, al 35 per mille dell’Italia di oggi. Spesso i morti venivano messi in postura come se fossero vivi, con appositi macchinari che li tenevano macabramente in piedi, a volte simulando normali azioni di vita quotidiana.

A volte nella foto era difficile capire se davvero il soggetto fotografato fosse vivo o morto. Comprendo che oggi questa usanza potrebbe apparire macabra, ma  in un passato avaro di immagini fotografiche, la foto post mortem sarebbe stata l’unica traccia visiva di un caro estinto. Attenzione perché anche nel passato esistevano i fake, e così non fu raro spacciare in seguito foto di persone in vita per foto post mortem, basta consultare questa pagina facebook che cerca di fare un po’ di chiarezza https://www.facebook.com/FakeVictorianPostMortemPhotos . A partire dai primi del Novecento la componente realistica si affievolì e le foto riguardarono prevalentemente soggetti all’interno delle loro bare. L’usanza scomparve quasi del tutto durante la Seconda Guerra mondiale, almeno nell’Europa mediterranea ed occidentale. Mentre ancora oggi, in alcuni paesi dell’Est europeo,le foto del morto all’interno della bara vengono poste nei cimiteri.

Francesco Genova-2Nulla di strano, dunque, che dall’America qualcuno avesse deciso di mandare questa ultima testimonianza di Francesco alla moglie Filomena. Francesco Genova si era sposato nel 1916 con Filomena Ferrigno, seconda di cinque figli, quattro sorelle ed un fratello. Una donna prudente, Filomena, che aveva preferito che i genitori prima accasassero le altre sorelle - sapete la storia della dote e della cerimonia nuziale. e poi attendere il suo turno. La grande guerra era finita da poco, e l'Italia già povera di suo ne era uscita con le ossa rotte. Con la febbre spagnola che incombeva e che tra il 1918 e il 1919 causò la morte di più di 50 milioni di persone. Una vera e propria ecatombe, che si sommava alle perdite sui campi di battaglia e alla povertà del dopo guerra.

Francesco lavorava in campagna, in quelle campagne del carinese, che come tutta la terra Siciliana era lieve e fertile per i padroni, dura e difficile per i braccianti agricoli, per tutti coloro che lavoravano una terra che non era la loro. E così dopo avere avuto il secondo figlio, per seguire tanti altri suoi connazionali, ed un sogno di riscatto sociale, Francesco prese la difficile decisione di emigrare. Gli Stati Uniti offrivano tanto lavoro, erano una potenza in piena crescita, in paurosa crescita. E tutti quegli italiani di buona volontà che erano emigrati erano comunque riusciti a trovare un lavoro dignitoso, magari non subito, ma erano comunque riusciti a migliorare la loro situazione. Chi restando in America, chi ritornando in Italia con piccoli gruzzoletti.

E così, in un pomeriggio di aprile del 1920 si imbarcò sul piroscafo Regina d'Italia da Palermo, per arrivare a New York il 30 aprile del 1920. Il Regina d’Italia era stata costruita in Inghilterra e varata nel 1907. Ma allo scoppio della Prima Guerra mondiale era stata requisita dalla Marina militare Italiana e adattata come nave ospedale. Nel 1920 aveva ripreso la sua funzione di piroscafo per viaggi transoceanici, con una capacità di ospitare oltre 2.000 passeggeri, solo di 2 e 3 classe!

I primi tempi a Detroit furono difficili, anche se cominciò a lavorare sin da subito. Detroit era una città importante, importantissima, fu li che sorse, proprio alla fine dell’800, l’impero della Ford, fondata nel 1903. Una città che aveva una richiesta di manodopera sempre maggiore, dovuta proprio all’industria automobilistica e a tutto il suo indotto. E così Francesco, inizialmente avviò un piccolo negozio di frutta, per poi passare al lavoro in fabbrica alla Ford.

certificato morte-2

I contatti con l’Italia non erano semplici. Mandò una prima lettera alla moglie, che era analfabeta (nulla di strano considerato che prima del Ventennio gli analfabeti in Italia erano circa il 40% della popolazione ), nella quale scrisse che se lei avesse avuto modo di capire il contenuto della lettera e gli avesse risposto, avrebbe continuato a scriverle. Filomena fece di più, non solo si fece aiutare a rispondere alla prima lettera, ma per amore imparò a leggere e scrivere. Per amore. E successivamente, con stupore del marito, fu lei stessa che cominciò a rispondere a Francesco, spiegandogli come andavano le cose a casa e apprendendo come andassero le cose a Detroit. Ma la fortuna non li seguì, o forse la sfortuna seguì Francesco fino all’America. Dopo nemmeno due anni dal suo arrivo a Detroit, un virus lo colpì, provocandone nel giro di un paio di settimane la morte. Nel certificato di morte c'era scritto che a portarlo via era stata una polmonite lobare che era spesso una diagnosi un po' generica e sbrigativa.

Ai parenti, invece, dissero che si trattò di febbre gialla. Una malattia che sembra avesse seguito gli schiavi africani in America e che negli Stati Uniti aveva mietuto numerose vittime, con delle vere e proprie epidemie che avevano colpito alla fine del ‘700 la Pennsylvania, e nel 1878 tutta la valle del Mississippi, mietendo centinaia di vittime. In Italia nell’agosto del 1804 anche Livorno era stata colpita da una grave epidemia di febbre gialla. Quello che rimase alla famiglia fu questa foto, che poi passò ai nipoti ed ai pronipoti. Francesco venne seppellito nel cimitero di Detroit, e il certificato, con l’esatta ubicazione della tomba fu mandato alla moglie, che però in america non andò mai. E che oggi riposa in pace al cimitero di Carini.

Igor Gelarda

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