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Giovedì, 18 Aprile 2024

Arabi e francesi antichi nel siciliano moderno

Rappresentano, grosso modo, il 6% ciascuno delle parole siciliane. Non tantissimo ma abbastanza perché, facendo i conti si tratta di 1 parola ogni 16

Continuiamo il nostro discorso, cominciato con latinismi e grecismi utilizzati nella lingua/dialetto siciliano. Dopo esservi auto-beatificati per avere appreso che quando usate certe parole siciliane siete di fatto dei latinisti, vediamo un po' di scivolare nel tempo fino al medioevo. Arabismi e francesismi rappresentano, grosso modo, il 6% ciascuno delle parole siciliane. Non tantissimo ma abbastanza perché, facendo i conti si tratta di 1 parola ogni 16!

Partiamo dagli arabismi, sfatando però un mito consolidatosi e ormai duro a morire. Nel medioevo in Sicilia non abbiamo avuto una dominazione araba, ma i nostri conquistatori erano berberi e maghrebini anche se parlavano, dopo la loro islamizzazione, la lingua araba. Considerate che al loro arrivo in Sicilia il Latino era ormai linguisticamente consolidato, mentre il popolo cominciava a parlare una propria lingua che sarebbe poi pian piano sfociata nella lingua romanza, il siculo-italiano insomma. Molti dei vocaboli arabi che usiamo in siciliano sono o erano quelli legati all'agricoltura, dei quali i musulmani, giunti qui con i loro sistemi di irrigazione innovativi, erano dei maestri! Molte di questi arabismi utilizzati dai nostri bisnonni nelle campagne sono ormai sconosciuti ai più: margiu (acqua putrida), cubba (terra ammonticchiata), burgiu (paglia ammonticchiata), galibbari (mettere la terra a riposo), solo per fare qualche esempio.

Andiamo a quelle ancora usate. Favara, un toponimo frequente in campagna, viene da fawwara, che vuol dire acqua che sgorga, acqua viva; la gebbia da giabiah; il catusu, ossia il tubo per conduttura, viene da qddùs. La giuràna (rana) da giarànat. Arancia dall' arabo narangi, anche se le arance che coltivavano in Sicilia nel medioevo erano quelle amare e andavano mangiate con lo zucchero, mentre quelle dolci che utilizziamo oggi arrivarono in Europa solo nel 1400, grazie ad un innesto! Cuttùni (cotone) da qutun, zibibbo (uva) da zbib, con cui si faceva e si fa il vino dal quale i musulmani si sarebbero dovuti astenere, ma che era invece molto spesso al centro dei loro componimenti poetici medievali. La calia (ceci abbrustoliti) da haliah; il colore azzurru da lazwardi (la l iniziale cadde perché scambiata per articolo); u zuccaro, da sukar.

Andiamo ad ambiti diversi da quelli della terra. U tabbutu, la bara da tabut. La famosa zzotta (frusta) degli gnuri (conduttori di carrozze da nolo) viene da sawt; quando invece combinavo schifezze a casa, specialmente con l'acqua, mia nonna mi diceva che stavo facendo zzàccanu, che letteralmente è il luogo dove si rinchiudono le bestie, con tutta la lordura che ne consegue e viene da sakan (porcile). Azizare, cioè sistemare in siciliano, viene da ziz arabo, bello o elegante. La famosa macchietta, protagonista di tante storie, di nome Giufà, viene dalla parola araba djehà o djuhà, che vuol dire uomo stupido, come anche mamluk (stordito) da cui mammalucco. Arrusu o iarrusu, utilizzato da noi con il senso di omosessuale passivo, viene probabilmente dall'arabo arus cioè fidanzata (questa parola è già attestata in una legge siciliana del 1300). Allallato (che contiene la parola Allah), ossia un po' tonto o lento nell'agire, è probabilmente una parola usata spregiativamente dai cristiani nei confronti dei musulmani intenti alla preghiera e poco attenti al resto.

Allafannato, ossia persona molto affamata è probabilmente come dovevano apparire i musulmani la sera durante il periodo del Ramadan, quando avevano tanta fame per avere digiunato tutta la giornata! Qualcosa di analogo, collegato alla debolezza da fame, per il termine allaccaruto (flaccido). Mentre l'animosità dei siciliani ha fatto si che adottassimo la parola sciarra da sciarrah (litigio-ostilità). Vi sfato un altro mito: la nostra cassata secondo me e qualcun altro, non viene dall'arabo qashatah (bacinella), ma dal latino caseum, cioè formaggio o ricotta! Ancora, sapete tutti che "Si a mmiria fussi vaddara, fussimu tutti vaddarusi!!! (se l'invidia fosse un ernia, saremmo tutti con l'ernia di fuori): la vaddara (o vaddira), ernia appunto dall'arabo adara. Due modi di dire arabi sono passati pari pari nel nostro dialetto: Si Diu voli, dall'arabo in sha Allah e u Signuri t'abbinirici (il signore ti benedica) da Allah ibarak fik, molto usato in arabo. Numerosi poi in Sicilia i toponimi arabi, che si trovano prevalentemente, ma non esclusivamente dislocati lontani dalla zona costiera: Calat/Calta= Castello : (Calascibetta, Caltabellotta, Calatabiano, Calatafimi, Caltagirone Caltanissetta, Calatubo etc); Gebel = monte: Mongibello, Gibellina, Gibilmanna, Gibilrossa. Marsa= porto Marsala, Marzamemi o Marsamemi, Mazara del Vallo. Rahl vuol dire casale: ad esempio Racalmuto, Regaleali, Regalbuto, Ragalna.

Andiamo ai cugini d'oltralpe. Gli Angioini ebbero una storia breve e molto travagliata in Sicilia, durata meno di 20 anni e conclusasi con la sanguinosa rivolta del vespro. Troppo poco tempo per giustificare una sopravvivenza linguistica nel siciliano. Ma il francese arrivò in Sicilia, come del resto in Italia, anche per influsso dei Normanni prima, delle colonie gallo-italiche dopo (di derivazione ligure piemontese) e con innesti successivi, tra Cinque e Settecento, quando questa lingua si affermò come lingua di cultura e scienza.

Alcuni esempi di francesismi ancora vivi nella nostra lingua/dialetto. Mucer, diventa ammucciari (nascondere); Couturie è custureri (sarto); raisin, l'uva da noi detta racina; dal francese antico mentevoir il siciliano ammuntuàri (cioè nominato, famoso; ricordiamoci anche che tale termine fu utilizzato da Francesco d'Assisi nel suo splendido cantico parlando di Dio: nullu homo ène dignu te mentovare); belotte francese diventa poi baddòttula (donnola). La famosa truscitella (borsa) viene da trousser. Avanzidajeri o avantieri dal francese antico avanzier

Sceccu (l'asinello) non è parola araba ma viene a noi per via dell'antico francese jeque, con pronuncia "scek" (dal latino equus); accattari (comprare) dall'antico normanno acater; addumari (accendere) da allumer; fumèri (letame) da fumier . Avete mai sentito dire la parola mpigna per indicare una faccia da bronzo? Ebbene viene dal francese empeigne. Ammucciari (nascondere) da mucier . La durmusa che usava mio nonno altro non è che la sedia a sdraio, dormeuse in francese. Quando il muratore arriva a fine settimana vuole giustamente la paga, o simanata (anche se stanno tentando di insegnarci a lavorare gratis), che viene dal francese semaine. Bisogna invece ringraziare i provenzali se quando uno cade per terra in Sicilia si allavanca, giacchè lavanca vuol dire proprio dirupo nell'antica lingua dei Trovatori! Chi non vi fa dormire la notte perché runfulia (russa), non sa di farlo dal francese ronfler, mentre una cosa fradicia, cioè purruta viene da pourrit. E chiudiamo con gli intamati (lenti) che pur non essendo fulmini di guerra hanno un nome molto antico che il francese entamé (sbalordire) ha preso dal greco thàuma. La prossima volta ci deliziamo con spagnolismi e "tedeschismi".

Igor Gelarda (storico ammuntuato)

medioevo infinito@yahoo.it

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