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Venerdì, 29 Marzo 2024
AMARCORD1983

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A cura di Alessandro Bisconti e Francesco Sicilia

Morire al Giro d'Italia: la tragedia di Emilio Ravasio a Palermo

Quando la corsa più amata degli italiani si trasforma in tragedia: la storia del ciclista brianzolo di 24 anni dell'Atala-Omega, morto a Palermo dopo quella che sembrava una banale caduta di gruppo. Era il 1986

Morire pedalando al Giro d'Italia. Succede anche questo nella corsa rosa, quella più amata dagli italiani. Quella che porta migliaia di persone in strada, anima del ciclismo che viene a trovarti sotto casa e non ti chiede niente. Senza barriere, tornelli, biglietti, né abbonamenti. Una festa gratuita, dal fascino eterno, ma che a volte si trasforma in tragedia. Ieri, come oggi, il Giro scorre dalle nostre parti. E' il 1986, è metà maggio, e la Palermo-Sciacca non è ancora scorrimento veloce, ma una tappa del Giro d'Italia. Il 12 maggio - dopo il cronoprologo di Palermo di un chilometro che assegna la prima maglia rosa - si corre dal capoluogo a Sciacca. E' un lunedì. Tappa facile facile: 136 chilometri tutti d'un fiato. Sul traguardo della città termale sfreccia davanti a tutti Santimaria. Moser e Bontempi arrivano tra i primi. Sembra una tappa come tutte le altre, ma non è così.

Perché ai -10 dal traguardo è successo qualcosa: Emilio Ravasio, brianzolo di 24 anni dell'Atala-Omega, sbatte la testa sul marciapiede. In realtà pare una caduta di gruppo banale, tant'è vero che Adriano De Zan - con la sua voce rauca da leggenda - non si sofferma. Sorvola. E perfino i tg subito dopo non ne parlano. La cronaca celebra lo spettacolo siciliano del Giro, anche perché dopo il capitombolo sul marciapiede, Ravasio si rialza. E fa esattamente quello che aveva fatto Serse Coppi - il fratello del Campionissimo - 35 anni prima. E cioè inforcare la bicicletta e pedalare verso il traguardo.

Ravasio arriva appena 7 minuti dopo il gruppone. Sono le 17. Emilio scende dalla bici, raggiunge il camper della sua squadra, si rifocilla. Poi fa la doccia e via in albergo, per preparare la tappa massacrante dell'indomani (259 chilometri, traguardo a Catania). Sono le 18. Ravasio entra nella hall del Grand hotel delle Terme. Pochi attimi dopo però inizia a dare segni di cedimento. Accusa conati di vomito, perde conoscenza, piomba a terra come un sasso. Viene ricoverato nel vicino ospedale e alle 19 entra in coma. E' un'escalation drammatica. I medici dispongono il trasferimento d’urgenza al Civico di Palermo. Ravasio viene operato al cranio. Un delicato intervento neurochirurgico per alleggerire la pressione di un ematoma al cervello. La notizia - dalla Sicilia - rimbalza nelle case degli italiani. La corsa Gazzetta riparte, anche se i corridori sono sotto shock. Da Sciacca a Catania e poi su per il resto della Penisola. “Ravasio, vinci il tuo Giro”, scrivono i tifosi sugli striscioni e sull'asfalto.

Emilio è gravissimo. Lotta, non si arrende, ma non si risveglia. Passano i giorni, le settimane. Il Giro nel frattempo è appena entrato nella sua fase decisiva. Le condizioni del ciclista, stazionarie da un po', purtroppo si aggravano per complicazioni bronco-polmonari. E' il 27 maggio, un martedì. Sono passati 15 giorni dalla caduta: alle 14 la corsa rosa si trova in Brianza, proprio a casa dello sfortunato ciclista. Da qui Adriano De Zan cancella ogni speranza e annuncia: "Emilio Ravasio è morto a Palermo". Dalla festa della strada alla tragedia. Perché in fondo il corridore è come l'equilibrista sul filo. Cavaliere veloce e solitario, sulla strada nuda. Scheggia elegante e coraggiosa sull'asfalto pieno di insidie. Uomo fragile che passa in mezzo alla gente. E che alla fine deve sempre vedersela col Fato.

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