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Padre definito boss mafioso, le sorelle Napoli non ci stanno: "Calunnie, ci difenderemo"

Gli attacchi sui social sono iniziati dopo la testimonianza di un ex carabiniere a un processo: "Il capomafia di Mezzojuso Napoli faceva in modo che Provenzano fosse ospitato nel 'suo' territorio". L'avvocato: "Un modo per delegittimare il loro operato"

Tre sorelle contro la mafia e ora anche contro tutti coloro che “si renderanno responsabili di attacchi diffamatori e calunniosi il cui unico fine è la delegittimazione morale di chi, in una terra difficile come quella nostra, prova a dire ‘no’ a soprusi e arbitri, ricevendo in cambio isolamento fisico e denigrazione”. Sono le parole in un comunicato stampa dagli avvocati Giorgio Bisagna, Angelo Anania, Roberto Cianciolo e Aloisia Varavara a tutela delle loro assistite Irene, Anna e Gioacchina Napoli. Nei loro confronti - scrivono i legali - “è partita, inesorabile, la macchina del fango” che punterebbe a screditare loro e il padre, definito negli scorsi giorni un “boss” da un ex carabiniere in pensione.

Le storia delle sorelle originarie di Mezzojuso è ormai diventata di dominio pubblico. A partire dalla morte del papà, nel 2006, hanno iniziato a denunciare danneggiamenti, l'uccisione dei propri cani e sconfinamenti di vacche nei terreni della loro azienda agricola. Le loro vicende sono state più volte al centro della trasmissione tv “Non è l’Arena” su La7, condotta da Massimo Giletti. E proprio per questo il conduttore, l’editore e l’ex opinionista Klaus Devi sono stati denunciati per diffamazione dal sindaco del piccolo comune vicino Corleone per l’eccessiva attenzione dedicata al tema, le ipotesi avanzate e alle chiavi di lettura fornite agli spettatori.

Nei giorni scorsi, il generale dei carabinieri Nicolò Gebbia (ora in pensione) originario di Mezzojuso, testimoniando a un processo a Roma per diffamazione e parlando della latitanza del padrino Bernardo Provenzano, ha messo a verbale di avere appreso dal metropolita ortodosso di Sarajevo, in un incontro avvenuto nel settembre di 16 anni fa, che "il capomafia di Mezzojuso, Napoli, siccome aveva solo tre figlie femmine ed era anziano, faceva in modo che Provenzano fosse ospitato nel territorio di sua competenza perché si appoggiava all'autorità del boss visto che la sua veniva erosa dall'età anagrafica e dal fatto di non avere figli maschi".

Questa notizia avrebbe fornito un assist a tutti coloro i quali volevano o avrebbero voluto screditare, per ragioni da chiarire, le sorelle Napoli e la loro storia di denuncia. “Cominciano a spuntare infatti - si legge nella nota degli avvocati - attacchi calunniosi e diffamatori nei confronti del padre delle mie assistite, defunto dal 2006 e totalmente invalido dal 1998, volti a infangare non solo la sua persona, ma soprattutto per delegittimare l’operato delle sorelle Napoli, e, di riflesso, l’operato degli organi investigativi. Prima l’isolamento sociale di cui le mie clienti sono state vittime nel loro paese di residenza. Oggi si assiste a misure decisamente più forti, fatte di insulti e diffamazioni sui social e sui media ad opera di soggetti a caccia di visibilità”.

“Le mie assistite - prosegue la nota - non intendono subire oltre, ulteriori attacchi alla onorabilità loro, all’immagine del loro amato padre, ed hanno già provveduto a presentare le prime querele. Ho quindi ricevuto incarico di procedere, verso tutti coloro che si renderanno responsabili di attacchi diffamatori e calunniosi il cui unico fine è la delegittimazione morale di chi, in una terra difficile come quella nostra, prova dire no a soprusi e arbitri, ricevendo in cambio isolamento fisico e denigrazione”.

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